Rozzano: notizia falsa e reazioni vere

Questa storia del Presepe sfrattato dalla scuola di Rozzano, anche se in parte falsa, non va sottovalutata né tantomeno lasciata in pasto a chi tenta di mettere la sordina sul tema per avvalorare quella tesi vanamente laicista molto di moda ultimamente tra i “superiori moralmente” con la puzzetta sotto il naso.

Sembrerebbe che il preside fricchettone non avesse inibito alla scolaresca alcunché eccetto la possibilità che le mamme accedessero all’Istituto durante la pausa pranzo per intonare insieme ai ragazzi alcuni canti di Natale.

Adesso che tutto si è ridimensionato, la posizione progressista è diventata la seguente: non è successo niente ed è tutta colpa di qualche xenofobo in cerca di pubblicità. Si tratta di una argomentazione balenga e capziosa perché, quand’anche la vicenda fosse totalmente inventata, lo sgomento per quanto accaduto non verrebbe minimamente meno in quanto quel che conta sono le reazioni che la nostra cosiddetta società civile è stata in grado di produrre a caldo.

A caldo, infatti, una certa e ben identificata parte del Paese (anche e soprattutto gente comune) ha giustificato il gesto del dirigente scolastico reputandolo un atto di buon senso teso a creare un clima di distensione con la comunità musulmana ed invocando la laicità della scuola, oltre che il rispetto per le altrui sensibilità. Argomentazione che non sta in piedi in quanto, ciò che pensavamo fosse successo a Rozzano, ma che è realmente accaduto in molte altre parti d’Italia allorquando si facevano rimuovere i crocifissi nei luoghi pubblici, ha invece dell’assurdo perché scatena reazioni che assomigliano ad un arretramento culturale preventivo che spesso non scaturisce da una protesta delle comunità islamiche.

Trattasi sovente di un nostro atto unilaterale, che denota un atteggiamento che forse qualche sociologo potrebbe definire da complessati collettivi, teso a considerare l’integrazione come un fenomeno da vivere con sensi di colpa come se noi avessimo qualcosa da farci perdonare o dovessimo vergognarci del nostro benessere. C’è un mare magnum di adepti di Allah che viene in Italia e frequentemente non certo per integrarsi o imparare il vernacolo. Per tutta risposta noi pensiamo bene di rimuovere ogni traccia delle nostre radici per non turbare la loro permanenza, camuffando i nostri usi e costumi sotto il velo del politicamente corretto.

È una censura non richiesta, un modello di integrazione improntato alla sottomissione volontaria nella speranza che ciò possa favorire il dialogo, un modo per sentirsi gente aperta e colta, un chador indossato con lo stesso buffo provincialismo del colbacco di Totò e Peppino a Milano.

E così, per sentirci cittadini del mondo, modifichiamo i menù delle mense, togliamo le croci, rimuoviamo i presepi nelle città (come fa Pisapia a Milano), aboliamo i canti di Natale sperando che i gentili ospiti guardino con ammirazione alla nostra presunta finezza culturale. Invece questo è solo un modo come un altro per fomentare l’arroganza di quelli che, per nulla persuasi circa l’importanza del rispetto delle differenze, scambiano (giustamente) cotanta grottesca ed ipocrita lagna democratica per arrendevolezza ed inconsistenza delle nostre tradizioni. D’altronde, se non difendete voi le vostre radici, penseranno, o sono poco importanti per voi o sono così deboli da non meritare rispetto.

Non conta quindi se l’ormai tristemente famoso preside di Rozzano abbia proibito o no il Presepe piuttosto che i canti di Natale durante la pausa pranzo. Il problema è la timidezza nel chiedere rispetto per la nostra storia, la nostra scarsa fermezza nell’esigere un rapporto di convivenza paritario e biunivoco. Poi non ci si dica, come fa Matteo Renzi, che contro il fanatismo bisogna usare le armi del sapere perché da parte nostra è un sistematico azzeramento della nostra cultura e delle nostre tradizioni nel nome dell’accoglienza a guisa di zerbino. Quale cultura opponiamo quindi al fanatismo?

Se la visita di un Vescovo in una scuola di Sassari, piuttosto che un crocifisso appeso al muro o un canto natalizio li reputiamo capaci di turbare la sensibilità di coloro che appartengono ad altre religioni, significa che ci siamo consegnati spontaneamente alle altre culture e che la nostra è una civiltà ormai morta sotto i colpi di un relativismo che ci ha pian piano insegnato a non averne rispetto, ripudiandola nel nome di un culto laico verso tutto ciò che è distante da noi. Abbiamo quindi mandato il presepe in soffitta? No, ma probabilmente in soffitta ci stiamo mandando molto di più.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:32