Mamma Rai

Lo stile renziano di parlare, tanto per farlo, è l’elemento connotativo di tutti i suoi uomini. Del resto sarebbe difficile il contrario visto che il Premier è piuttosto sensibile a tutti quelli che, in un modo o nell’altro, non gli sono omologhi. L’ennesima plastica testimonianza di ciò viene dal direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto, che ha impegnato una pagina intera del Corriere della Sera per dire poco o niente e quel poco che ha detto è stato più imbarazzante che utile.

Innanzitutto il Canone Rai in bolletta non offrirà alcuna certezza di bilancio in quanto a pianificazione, anzi semmai la diraderà e non solo perché il sistema è tra i più cervellotici e costosi, ma perché darà inevitabilmente vita ad una sequela di liti, distinguo, errori e contenziosi da far rimpiangere quello attuale. Infatti, è di tutta evidenza che la molteplicità delle aziende coinvolte nella riscossione, unita alla variegata possibilità di intestazione delle bollette e alla impossibilità di un censimento reale tra i destinatari delle utenze, creerà un pataracchio che, se possibile, darà alla fine risultati peggiori in quantità e qualità. Oltretutto è noto che le riscossioni indirette offrono per loro natura, vista la moltiplicazione dei passaggi, motivi di errore e di conseguente rabbia degli utenti.

Detto ciò - a conferma che il sistema Renzi anziché semplificare, come illusoriamente promesso, complica e basta - sulla Rai esiste poi un problema di fondo che riguarda una azienda pubblica strategica di informazione e cultura che non può essere gestita come fosse privata ad uso e consumo del Premier e del Governo di turno. Questo è un principio elementare di democrazia e pluralismo che non dovrebbe nemmeno essere sfiorato, invece in Italia, da Mario Monti in giù, si è intervenuti sulla governance televisiva con il preciso scopo di aumentare a dismisura i poteri del direttore generale e del presidente, marginalizzando quelli del Consiglio di ammnistrazione.

Come se non bastasse, con Renzi e con la riforma attualmente in via di approvazione, senza che vi sia da parte del Parlamento l’attenzione dovuta, il futuro amministratore della Rai, cioè Campo Dall’Orto, potrà godere di pieni poteri per porre e disporre a suo piacimento come fosse alla testa di una tivù privata. La gravità e la pericolosità della cosa è nel fatto che non solo così i governi, quali che siano, potranno disporre di uno strumento nucleare di suggestione nei confronti dell’opinione pubblica per orientarla e condizionarla, ma che una azienda come la Rai non può essere condotta con l’unico e assoluto scopo di fare utili. Ovviamente ciò non significa che la tivù non debba misurarsi con le logiche economiche e di mercato, tutt’altro, ma che certamente il bilancio non possa essere l’unico riferimento di scelta e di indirizzo.

Inoltre, è proprio dentro la più grande azienda culturale del Paese che la democrazia dovrebbe farsi sentire con il principio dei pesi e contrappesi, per le scelte editoriali, informative, strategiche, per assicurare sia il pluralismo, sia la rappresentatività e l’eterogeneità del servizio. Concentrare dunque tutto nelle mani di un amministratore, escludendo nella sostanza il peso di un Cda a garanzia della natura pubblica (cioè di tutti noi) dell’informazione e della conoscenza, rappresenta un vulnus che nessun Paese può permettersi, figuriamoci l’Italia. Per questo ci auguriamo che a partire dai principali attori della discussione, soprattutto quelli che ai tempi di Silvio Berlusconi ogni secondo facevano girotondi, caroselli, manifestazioni di piazza contro la cosiddetta Rai del Cavaliere, ci sia adesso quel minimo di coerenza per chiedere le modifiche indispensabili alla riforma della televisione pubblica.

Se così non fosse assisteremo all’ennesimo atto d’imperio di un Governo che scambia il servizio per il possesso, le investiture per incoronazione, la democrazia per monarchia, assisteremo all’ennesima testimonianza di quanta necessità abbia l’Italia si scrollarsi di dosso e per sempre quell’opzione cattocomunista che anche nell’informazione, sotto le mentite spoglie di libertà, eguaglianza e pluralismo, ha posto e disposto a suo piacimento, portandoci al disastro che viviamo.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:06