L’Ue non promuove l’Italia sui conti

Oscurata dal bombardamento mediatico a tappeto sul tema del terrorismo targato Isis, alcuni giorni fa è uscita una notiziola che non sembra essere in sintonia con la marcetta trionfale che Matteo Renzi e le sue grancasse mediatiche suonano a giorni alterni: l’Europa ha rimandato alla prossima primavera il suo giudizio definitivo sulla nostra Legge di stabilità.

In particolare, la Commissione europea sottolinea che la manovra italiana per il 2016 è “a rischio di mancato rispetto del patto di stabilità e crescita”. In accordo con le previsioni di autunno della Commissione, si legge nella valutazione, “c’è un rischio di significativa deviazione dal percorso di aggiustamento richiesto verso gli obiettivi di medio termine, soprattutto in connessione con la valutazione del prossimo programma di stabilità”. Già per il 2015 si è riscontrata “qualche deviazione dal percorso di aggiustamento verso gli obiettivi a medio termine”, che nel 2016 diventeranno “significative”.

Come ribadisce la stessa Commissione, infatti, l’obiettivo per il 2016 era di un deficit pari all’1,8 per cento del Prodotto interno lordo; secondo la legge di stabilità, il deficit sarà invece pari al 2,2 per cento del Pil, e secondo la Commissione al 2,3 per cento. Anziché essere in pareggio come stabilito inizialmente, nel 2016 il bilancio strutturale sarà in deficit dello 0,5 per cento. Se questa deviazione sarà concessa nell’ambito della flessibilità consentita dalle norme Ue, verrà deciso in un secondo momento.

Deviazioni a parte, come scrivo da tempo su queste pagine, le mine finanziarie finalizzate a comprarsi il consenso che l’ambizioso inquilino di Palazzo Chigi sta depositando sul futuro prossimo degli italiani non possono che produrre pericolosi effetti ad orologeria sul piano proprio dei conti pubblici. Da questo punto di vista, se le tanto strombazzate riforme non dovessero determinare significativi progressi sul fronte della crescita, lo sforamento del disavanzo pubblico potrebbe ampiamente superare i diplomatici timori dell’Unione europea, con esiti catastrofici per il nostro Paese.

Del resto, l’aver puntato tutto su una manovra a debito, mettendo in piedi una colossale operazione di deficit-spending, rappresenta un rischio che un sistema indebitato fino al collo come il nostro non avrebbe dovuto correre. 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:26