
Mi ha sorpreso e deluso, la ricordava ieri il nostro Buffa, l’iniziativa epurativa di non mi ricordo più chi, nei confronti di Maurizio Belpietro a causa del titolo incriminato di “Libero” contro gli “islamici bastardi”, che non è di certo il massimo della neutralità.
Ora, che si chiedano firme per espellere dall’Ordine dei giornalisti un direttore di un quotidiano per un titolo sarebbe surreale in tempi normali, ma diventa impensabile se non inquietante di questi tempi anomarli. Tra l’altro, Belpietrro è simpatico non perché di una parte, ma perché a volte rianima dibattiti in tivù che il politicamente corretto trasforma in liturgie banali e velleitarie, che sono esattamente il rovescio dei rituali da bar tanto cari alla gens salvinia, e non solo.
Un punto comunque da chiarire con gli epuratori è che quanto dice o scrive un giornalista è cosa ben diversa dall’opinione di un politico, benché le somigli e che comunque le due “cose”, uguali o contrarie che siano, altro non sono che simboli della libertà di pensiero. Ma viaggiano su linee parallele, sono diverse. Questo sarebbe, come dire, un fatto acquisito, se non fosse che tutto o quasi l’apparato comunicativo, specialmente in televisione, ha subìto negli anni una modificazione cui non sono sfuggiti ma, anzi, ne sono gli alfieri, i talk-show, cioè la vera essenza della nostrana televisione, tutta. E non solo in politica, basti ricordare i talk trasformati in format degenerativi di processi in corso con relative, reiterate ancorché inascolatate proteste di Ordini di avvocati (e di qualche attento magistrato) contro una spettacolarizzazione di inchieste destinata a incidere comunque sui comportamenti dei giudicanti, cioè dei giudici. Il talk-show, e chi lo gestisce, è il vero giudice dell’opinione pubblica.
La stessa mutazione è avvenuta nel format talk politico che dilaga da mane a notte inoltrata implacabilmente apodittico nel senso che il conduttore/conduttrice non solo dà la linea e la parola, ma la toglie, interrompe e si intromette talché un fumino come l’ottimo Filippo Facci ha recentemente mandato a quel paese, andandosene dallo studio, un conduttore Rai. Quasi alla stessa ora Paolo Del Debbio cacciava dal suo talk-show un barbuto interruttore musulmano. Giusto? Sbagliato?
Diciamo piuttosto sintomatico del un nuovo clima storico-politico impresso dal terrorismo islamico per cui, altro esempio, è la ruvida critica di Paolo Romani alla Barbara D’Urso ritenuta unfit a occuparsi di cose maledettamente serie come le stragi parigine. Sono sintomi di quella manipolazione-mutazione accennata che risiede spesso nella assunzione da parte del conduttore di una pluralità di ruoli: regista, politico, provocatore, attore, ecc. che non solo lo autopromuovono a un livello superiore, da primo della classe professorale, ma, soprattutto, gli consentono un ruolo non consono perché opposto a quello del mediatore corretto fra politica e pubblico.
Aldo Grasso (Corriere della sera), che è uno dei più autorevoli, attenti e sistematici analisti della tivù, ha ricordato che l’irruzione del nuovo, feroce e di non effimera durata terrorismo Isis, ha trovato i talk impreparati e, dunque, inadeguati a informarci di questo atroce avvento, a causa dei limiti, anche culturali, di molta tivù dove la tragica rincorsa dell’audience ha rotto gli argini del buon gusto e, soprattutto, del buon senso a scapito della rissa e delle urla belluine che, per lo meno, coprono con stridii e dissonanze le stupidaggini scagliate reciprocamente. Spesso dal conduttore. Altro che firmare contro “Libero”.
Meditate gente, meditate...
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:27