Antimafia devozionale diventa demenziale

Tutto ha fine. Anche il linguaggio, il lessico, si evolve. E termini che sembravano segnare la definizione perenne di qualcosa sono superati e sostituiti da altri. Non è solo questione di moda e di insano desiderio di novità. Penso a quella meravigliosa, bellissima definizione di Guido Vitiello: “antimafia devozionale”, che ha segnato da sola un passo essenziale nella conoscenza del fenomeno mafioso (ed antimafioso soprattutto) quale nessuno dei tanti libri (più o meno “devozionali”) dalla lucrosa mafiologia ufficiale, giornalistica ed accademica ha fatto compiere.

“Mafia devozionale”? Io che ho esultato di fronte a questo particolarmente felice parto della bella mente di Guido, mi rendo conto che oramai quell’espressione, se non è del tutto obsoleta, antiquata, è quasi del tutto superata. Non dall’evoluzione lessicale in sé, ma dell’evoluzione del fenomeno, cui magistralmente Vitiello diede il sugello di quella definizione, di quel termine. Non sono un “devoto”, nemmeno un ateo devoto come si definisce Ferrara. Ma ho il rispetto dei credenti, della loro (quando c’è) devozione che non mi consente di continuare a parlare, di fronte a certi episodi, certe situazioni, certi andazzi e certe persone di “mafia devozionale”. Non è questione di “devozione”, cui pure sono ascrivibili tante malefatte. Leggete gli organi semiufficiali dell’Antimafia (non quella d’affari, che non manca mai di una sfacciata concretezza), ascoltate i discorsi di personaggi che dell’Antimafia hanno il monopolio, la guida spirituale, le cariche e le funzioni. Che cosa hanno più a che vedere con “la devozione”, le “devozioni” di mia nonna Peppina, buonanima (per la quale, tra l’altro, “fare le devozioni” significava confessarsi e comunicarsi) e con quelle persino di un Papa mezzo Cristiano e mezzo Musulmano (eccedo, un po’ per celia, un po’ per non morire).

Ed allora, fermo restando il valore “storico” della definizione di Vitiello, credo che bisogna ricorrere ad un altro termine, più espressivo e sintetico dell’attuale stato di evoluzione dell’Antimafia: “Antimafia demenziale”. Non avrà la freschezza e l’originalità dell’espressione di Vitiello, ma è, allo stato (come dicono i legulei) la più puntuale. Dico subito che ricorro a questa espressione che meglio si confà alla scienza medica ed alla patologia psichiatrica che alla storia, alla sociologia, al diritto (ma…lasciamo perdere…) non perché ritengo che dementi devono essere definiti i protagonisti della grande sceneggiata dell’Antimafia. Se si tolgono alcuni che pare abbiano precedenti allarmanti ed anche recenti eruzioni di fantasie extraterrestri miste a devianze religiose, visioni, etc., gli uomini (e, forse, ancor più le donne) dell’Antimafia sono persone di cui è persino d’obbligo ritenere la normalità mentale, in altre parole capaci di intendere e di volerli tali per presunzione “juris et de jure”.

Ma è proprio questo che contraddistingue la follia di certe correnti del pensiero, di certe fedi che appartengono a parti dell’umanità. Una follia che prescinde dalla ragione, dallo stato del cervello di chi la professa e seconda essa opera. Una follia, un’insania che sovrasta ed ottunde menti anche di buon livello (non necessariamente tali, naturalmente). Non sono in possesso di una sia pur approssimativa conoscenza della scienza psichiatrica per spiegare questa contrapposizione tra la normalità individuale che diventa follia nel momento in cui i soggetti, sani di mente “uti singuli” (vedete come sono ignorante: uso ancora queste espressioni del vecchio “latinorum” e non so tirar fuori nemmeno una parola di inglese!!) si vanno integrando perfettamente nella insania collettiva di certi credi religiosi, politici, e magari giuridico-fideistici.

Detto tutto questo va, anzitutto precisato che i sani di mente che adottano, proclamano, sfruttano e propagandano l’insania collettiva quale la “mafia demenziale”, se non sono da considerare per ciò solo dementi, sono però cretini, truffatori, baggiani e, soprattutto e tutti quanti, pericolosi. Non diremo loro che sono dementi (perché, invece, sono responsabili) ma altri termini, magari di derivazione romanesca dalla “parola di Cambronne” sono splendidi esemplari delle definizioni che loro competono e che, anzi, è doveroso esprimere chiaramente senza giri di parole di fronte alle loro prodezze. Tornerò sull’argomento cercando di lasciar da parte le questioni propriamente psichiatriche. Per affrontare, magari, quelle relative a profili decisamente ambivalenti, in bilico tra l’Antimafia demenziale e quella affaristica. Tali sul piano collettivo, naturalmente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:19