La grande pagliacciata della spending review

Come ampiamente annunciato, anche Roberto Perotti si è dimesso dalla carica di commissario alla cosiddetta spending review. Una revisione della spesa pubblica la quale, vista la moria continua dei tecnici chiamati ad affrontarla, è diventata una roba da circo dei pagliacci. Uno specchietto per le allodole a totale beneficio di tutti quei gonzi che ancora credono alle favole di un sistema politico che fonda sempre più il proprio consenso sulla redistribuzione di crescenti quote di risorse. Da questo punto di vista la ripresa a tutto spiano della stagione dei “saldi” elettorali in deficit, promossa dall’attuale sciamano di Palazzo Chigi, dimostra la totale inutilità di tenere in piedi una baracchetta scalcinata come quella che gestiva fino a pochi giorni fa lo stesso Perotti. Quest’ultimo, tra l’altro, viene considerato un illuminato economista della sinistra liberale ed appare quanto mai grottesco che la goccia che abbia fatto traboccare il vaso, determinandone le irrevocabili dimissioni, sia stata la decisione del Governo di non prendere in considerazione la sua proposta di intervenire su molte detrazioni fiscali. In tal modo se Renzi & company avessero dato retta a questo cervellone, la pressione tributaria allargata sarebbe ulteriormente aumentata, con buona pace di chi si aspetterebbe tagli veri alla spesa pubblica finalizzati proprio all’abbattimento delle imposte.

In realtà, come dimostra il linguaggio universale dei numeri e dei bilanci, l’Italia è un Paese che avrebbe bisogno di una cura da cavallo dal lato delle uscite di uno Stato che consente a troppi consumatori di tasse, i quali per questo sono tra i più solerti elettori, di vivere ben sopra le possibilità economiche offerte dal Paese. Altro che generose detrazioni fiscali. Qui ci troviamo di fronte ad una trappola democratica che si compra il consenso alimentando una macchina infernale che regala ai più furbi e ai più fortunati stipendi, vitalizi e posti al sole. E non è un caso se da un simile sistema emergano solo illusionisti e cantastorie i quali, come nel caso dell’ultimo arrivato nella stanza dei bottoni, oltre a non ridurre di un centimetro l’intervento pubblico, non sanno far altro che far galoppare l’indebitamento complessivo dello Stato. Ricordo, tanto per rinfrescarci la memoria, che il programma del primo Renzi prevedeva un taglio immediato nella spesa pubblica di ben 36 miliardi. Ma oramai molta acqua è passata sotto i ponti dell’Arno.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:27