
“Tutto il mondo deve rispettarci”, è stato il commento del Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan dopo la vittoria elettorale che ha portato il suo partito a sfiorare la maggioranza assoluta. Ora la Turchia, che aspira ad entrare nella Ue, e il “Sultano” devono rispettare la libertà di stampa, caposaldo della democrazia e del pluralismo. Lo chiedono cinquanta direttori dei grandi giornali internazionali. Sull’esito delle elezioni (alta affluenza alle urne dei 54 milioni di turchi) hanno pesato le centodue vittime della strage di Ankara (avvenuta il 10 ottobre durante una marcia per la pace), la chiusura in diretta tv di due emittenti legate all’opposizione, la stretta sulla stampa critica, i morti registrati negli scontri tra cittadini e polizia nei Paesi dell’Est dove maggiore è la presenza dei simpatizzanti al partito dei curdi, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk).
Il partito al Governo islamico-moderato da tredici anni ha voluto una nuova prova elettorale, dopo che il 7 giugno 2015 i risultati non avevano consentito (40,8%) di governare da solo. Ora il premier Amet Davutoglu lo può fare (49,3%) ed ha auspicato che “ la vittoria della democrazia del primo novembre possa essere benefica per la Turchia”. Nel primo discorso ha promesso di dissolvere “rabbia e polarizzazione della società”. Usando parole mai pronunciate da Erdogan a favore della libertà di stampa, contro qualunque discriminazione per etnia, fede religiosa o politica. Sarà così? L’avvocatessa Fethiye Cetin, di origine armena, che si batte per mandare in galera i mandanti del giornalista Hrant Dink assassinato nel 2007 ritiene che “ora che hanno avuto il loro trionfo i vertici al potere potrebbero essere generosi”.
Giornalisti, intellettuali e politici d’opposizione hanno subìto negli ultimi anni intimidazioni, restrizioni e accuse. I provvedimenti di chiusura e gli arresti si susseguono a ritmo serrato. Prima delle elezioni il clou. Sono stati chiusi due quotidiani (Bugun e Millet) e due reti tv vicine all’opposizione (Kanalturk e Bugun tv) accusati di “propaganda terroristica e insulti al Presidente”; sequestrato il settimanale cartaceo e web “Nokta” che contenava una vignetta satirica su Erdogan; sette reti tv sono state oscurate, la polizia è entrata nelle redazioni obbligandole a pubblicare foto del Presidente. Licenziati cinquantotto giornalisti tra cui il caporedattore di Bugun, Bulent Ceyhan, e il redattore, Kamil Maman. Il pugno di ferro contro i media ha allarmato la Casa Bianca che ha espresso profonda preoccupazione degli Usa per le pressioni e le intimidazione subite dagli operatori dell’informazione.
Sul progressivo deterioramento della libertà di stampa in Turchia hanno preso posizione cinquanta direttori di media internazionali tra cui Mario Calabresi de “La Stampa”, Antonio Caño del “El Pais” e Wolfgang Krach del “Suddeutsche Zeitung”. Hanno scritto una lettera al Presidente Erdogan per esprimere la profonda preoccupazione per le limitazioni alla stampa. “Negli ultimi mesi - scrivono - gli attacchi e le intimidazioni ai danni dei giornalisti sono aumentati in misura allarmante. Gli incidenti includono: due attacchi contro gli uffici del giornale Hurriyet, l’aggressione fisica al giornalista Ahmet Hakan Coskun, l’irruzione della polizia e il successivo sequestro del gruppo Koza Ipek Media (noto per essere critico nei confronti del Presidente), l’arresto di 3 giornalisti di Vice News tra cui Mohammed Ismael Rasool che è ancora in carcere”.
I cinquanta direttori osservano “in questo clima di intimidazione c’è l’aumento della cultura di impunità che contribuisce a privare i giornalisti delle garanzie necessarie per fare il loro lavoro e li lascia vulnerabili a soprusi e persino a danni fisici. La riluttanza del Governo nel condannare gli attacchi ai giornalisti indipendenti o critici è allarmante”. Provvedimenti restrittivi sono stati presi anche contro blog, social network e YouTube, tanto da far scattare le proteste dell’associazione Committee to Protect Journalists. Quello turco è un trend preoccupante ma non isolato nel contesto dell’area del Medio Oriente come è avvenuto in Egitto dove la giunta di Al Sisi ha fatto arrestate giornalisti della rete televisiva Al Jazeera o in Pakistan dove è stato ucciso il giornalista quarantenne Zaman Mehsud che lavorava per 3 testate diverse in lingua urdu.
All’inizio di novembre le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto nel quale si elenca l’assassinio, dal 2001 al 2015, di settantuno giornalisti ed operatori dell’informazione nel corso dello svolgimento del loro lavoro. Il ruolo della stampa libera in queste aree piene di conflitti e tensioni diventa sempre più necessario. I cinquanta direttori in conclusione affermano “La Turchia è uno Stato che ha sottoscritto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il Patto internazionale sui diritti civili e politici. La Costituzione turca del 1982 rende questi diritti (sanciti da strumenti internazionali) a disposizione dei suoi cittadini in patria. Tutte le istituzioni turche hanno quindi l’obbligo di rispettare e adottare misure volte ad assicurare il diritto alla libertà d’espressione. I media sono da tempo riconosciuti dal diritto internazionale come espressione del ruolo essenziale di “cane da guardia” della democrazia in tutti i Paesi”.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:19