
La carne rossa fa male, gli insetti no. Queste sono le sentenze dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Parlamento europeo che hanno deciso, all’unisono, di assestare una bordata micidiale alla tradizione alimentare occidentale. Per ora l’opinione pubblica italiana l’ha presa a ridere: l’idea di pasteggiare a vino e cavallette non convince. Ma c’è poco da scherzare. Da tempo l’establishment multiculturalista prova a negare la tradizione occidentale.
L’obiettivo che persegue incessantemente è l’affermazione egemonica della globalizzazione elevata a canone etico universale. Secondo la logica infetta del “senza frontiere” dovrebbero essere abbattuti tutti i tratti distintivi che connotano le identità autoctone. Quindi, potendo anche il gusto alimentare rilevarsi discriminante nel processo di assimilazione identitaria, vi si rimedia facendo abiura. Come? Denunciando, appunto, che il consumo di carne rossa, elemento primario della dieta degli occidentali, faccia venire il cancro, mentre l’utilizzo in cucina di insetti e vermi, caratteristico di molte culture dell’Africa e dell’Asia, sia gradevole e salutare.
Ragazzi, di questo passo si finisce male! Se i padroni del pensiero multiculturalista tengono tanto alla novità, che se li mangino loro vermi, scorpioni e ragni. A noi già fanno schifo a vederli, figuriamoci a mangiarli. Pur di propagandare questa nuova contaminazione del gusto, i sacerdoti e le vestali del credo mondialista sono pronti a giurare che si campa di più consumando larve al posto di bistecche. Sgombriamo subito il campo da pericolosi malintesi: meglio morire prima contenti e soddisfatti, mangiando i prodotti della nostra infanzia che ci hanno accompagnato lungo tutto l’arco della vita, piuttosto che ingurgitare parassiti. Lombrichi e bigattini avranno pure una funzione decisiva nell’ecosistema, ma non l’avranno nel nostro stomaco. Restino a vivere tranquilli sugli alberi o nelle viscere della terra, ma stiano lontani dalle nostre tavole.
In particolare da quelle italiane, perché ci sono voluti secoli per giungere dove siamo, cioè ad avere produzioni alimentari di eccellente qualità e non possiamo immaginare di nutrirci come neppure i cavernicoli dell’età della pietra osarono fare. Le carni italiane provengono da animali cresciuti in condizioni ottimali. La ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico hanno dato una grossa mano agli allevatori e ai coltivatori per costruire filiere alimentari di prim’ordine. Si pensi soltanto alla produzione dei formaggi italiani che sono un’eccellenza mondiale e che, invece, quei quattro venduti di burocrati a Bruxelles vorrebbero che si facessero con il latte in polvere. Se questo non è l’ennesimo attacco al made in Italy, non sapremmo come altro definirlo.
Matteo Renzi la smetta di autoelogiarsi per successi economici che vede soltanto lui e si dia da fare per difendere l’italianità in Europa e nel mondo. Tuttavia, bisogna ammettere che il problema non riguarda soltanto noi; l’attacco è alla tradizione occidentale nel suo complesso, ma non è pensabile che una millenaria civiltà possa degradarsi fino all’annientamento. Si dirà che, a un certo punto, anche i dinosauri si estinsero. Vero! Ma fu per effetto di straordinari cambiamenti climatici. Non risulta che avessero deciso di suicidarsi in massa come questa banda di smidollati al potere vorrebbe che facessimo. Si mettano il cuore in pace i profeti del multiculturalismo. Non finiremo a vivere sotto le tende e a nutrirci di alghe e d’insetti solo per compiacerli.
Ma, si dirà, che sono le multinazionali ad avere allungato l’occhio sul business del “novel food”. E con questo? Essere per la libera impresa non significa essere scemi. I grandi capitalisti mettano pure nelle scatolette gli scorpioni con la salsa di more, ma le vadano a vendere altrove. Noi ci accontentiamo della macelleria sotto casa. Lunga vita all’abbacchio!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:35