Matteo Renzi: il senso di una manovra

Matteo Renzi sta effettuando una manovra a tenaglia sul ceto medio. Si tratta della più imponente operazione di conquista di un blocco di classe tradizionalmente ostile che la sinistra abbia mai tentato. L’obiettivo finale di questa piccola “Blitzkrieg” è il consolidamento di una nuova classe dirigente, impersonata dal “modello fiorentino”, nel cuore dello Stato.

Le armi per colpire il target sono state rese note: azzeramento delle tasse sulla prima casa salvo poche eccezioni, aumento della soglia di utilizzo del contante a 3000 euro, riconsiderazione della norma penale sulla legittima difesa, crociata a favore di un fisco amico. Queste proposte costituiscono altrettanti argomenti-chiave del consenso che Matteo Renzi sta sfacciatamente sottraendo alla destra. Il giovanotto non ha avuto il minimo scrupolo a disfarsi dell’armamentario propagandistico caro al cattocomunismo. Tuttavia, è soltanto tattica. Non vi è nulla di sincero nelle sue odierne scelte “liberali”.

Non esiste alcun indizio che possa indicare concreti segnali di discontinuità del governo Renzi rispetto alla radice ideologica della forza politica che lo ha espresso. Al contrario, le prove dicono l’opposto. Bersani, Cuperlo e soci avrebbero dovuto scatenare l’inferno in presenza di una paventata inversione “ontologica” nel rapporto tra Stato e cittadino. Come possono costoro, ci si chiede, accettare senza battere ciglio che un Renzi qualsiasi gli smonti pezzo per pezzo una visione del mondo coltivata per decenni? Si prenda il caso dell’abbassamento al minimo dell’utilizzo del contante voluto dal “commissario” Mario Monti e accolto da una sinistra plaudente come somma conquista.

Spacciata per norma antievasione e antiriciclaggio, la sinistra vampira vedeva inverarsi il trionfo dello Stato di polizia fiscale che indaga sulle abitudini e sulle preferenze dei suoi sudditi. Conoscere come il cittadino spenda il suo denaro vale cento volte di più che preoccuparsi di esigerne l’annesso tributo; significa conoscerlo nel profondo, scoprirne i lati deboli, i vizi privati oltre la soglia delle pubbliche virtù. Che bello spiare le vite degli altri! Perché, per gli epigoni del marxismo e del pauperismo evangelico, sapere- uguale-potere. Cancellare quindi, o attenuare, un prezioso strumento di controllo significa allentare la presa sulla società. Per il Pd, pre-renziano, dovrebbe essere una micidiale iattura.

Un provvedimento del genere meriterebbe un’opposizione intransigente, al limite della rottura del patto di governo. Invece, tutti zitti, nessuno se n’è andato sbattendo la porta, niente scissioni, se non il tenue mugugno in stile “non capisco ma mi adeguo” del ministro Dario Franceschini. Perché? Hanno paura del giovanotto? Certo che no. Tutti loro giudicano più importante restare aggrappati al vincitore nell’intento di essere trascinati, per effetto di un moto inerziale, a occupare spazi di potere inesplorati. Il ragionamento è semplice: non condividiamo la strategia del capo ma non ci stacchiamo da lui perché ci porterà dove mai prima siamo giunti. Matteo Renzi, dal canto suo, punta a rendersi credibile agli occhi dei suoi avversari interni convincendoli di essere un “cavallo di Troia”.

Marciamo divisi per colpire uniti, come ci ha insegnato il nostro Mao-Tze-Dong, questo è il non-detto che il premier cerca d’instillare nelle menti dei suoi incerti compagni di viaggio. Questione di tattica, nulla più di questo. Non esiste una sinistra illuminata che svolta a destra. Comunque la si giri, entrambe le tesi approdano alla medesima soluzione: autoinstallarsi nel software di un popolo, in maggioranza refrattario agli ideali egualitaristi propugnati dal cattocomunismo. Il guaio è che la destra, di là dal movimentismo salviniano, tace non avendo individuato il giusto antivirus per respingere l’attacco. Ma quanto ancora potrà durare questo silenzio prima che accada l’irreparabile?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:34