Ddl sul processo penale e 4 bis, un’altra occasione mancata

Il ddl sul processo penale, licenziato alla Camera dei deputati, ha riconfermato la stretta ritorsiva, punitiva e giustizialista imposta dal populismo penale imperante. Quello che la maggioranza di governo non è riuscita a superare nonostante i tentativi del Guardasigilli Orlando di imboccare una stagione più garantista puntando soprattutto su una politica penitenziaria attenta alla funzione rieducativa e riabilitativa della pena prevista dalla Costituzione nell’articolo 27.

L’intento riformatore di Andrea Orlando è quindi rimasto azzoppato dalla necessità di piegare la testa alla dittatura del consenso elettorale e agli orientamenti delle toghe cui consegnare un pacchetto demagogico che comprende misure strabicamente demagogiche. Via così a provvedimenti come l’inasprimento delle pene per scippi, rapine e furti (inutile ribadire che l’aumento delle pene non corrisponda ad una diminuzione dei reati e che le recidive aumentano tra i detenuti che non accedono alle misure e percorsi alternativi al carcere), il prevalere delle aggravanti sulle attenuanti, l’innalzamento dai 6 ai 12 anni per il reato di scambio elettorale di recente introduzione (moltiplicare le fattispecie di reato sembra l’unica, taumaturgica via di contrasto ai reati capace di placare la pancia dei cittadini ingordi di nuove caselle in cui schiaffare i colpevoli), l’abolizione dell’udienza filtro che priva la difesa della possibilità di tutelare la riservatezza con lo stralcio di conversazioni captate irritualmente e inutilizzabili o irrilevanti per evitarne la diffusione, lo slittamento fino ad un anno del termine per chiudere le inchieste sugli indagati per i reati più gravi per le pressioni della magistratura.

Una sorta di vangelo della brava tricoteuse, insomma, quello uscito dalla Commissione Giustizia (braccio operativo della magistratura in Parlamento) e poi dall’aula di Montecitorio. E dato in pasto all’elettorato proprio mentre il presidente del Csm, Rodolfo Maria Sabelli, ha riacciuffato i toni dell’apertura alla politica di Orlando sfoderando quel rodato repertorio garantista, tanto efficace per blandire il pubblico e il mansueto Guardasigilli nei convegni forensi che da mesi utilizza per dirsi contrario al populismo penale ed alla pena come vendetta e punizione.

Ora, in questa morsa che la magistratura e la pancia dell’opinione pubblica hanno stretto su pressoché tutti i provvedimenti giudiziari è finita schiacciata anche la possibilità di modificare gli automatismi e le preclusioni assolute, previsti nell’articolo 4bis, che escludono i condannati per mafia e terrorismo dai benefici carcerari che aprono la prospettiva del reinserimento e della rieducazione, così come Costituzione, ma anche la Cedu e la Corte Europea stabiliscono. Negando ad una certa categoria di detenuti la possibilità di ripensare il proprio percorso, di riprogettare la propria esistenza, il Parlamento ha sacrificato alla necessità di un malinteso imperativo della deterrenza della sanzione penale l’opportunità di riprendere in modo accorto e ragionato il necessario ripensamento di una misura che condiziona, anzi baratta, la concessione dei benefici penitenziari ai mafiosi e ai terroristi alla collaborazione dei condannati con la giustizia. Seguitando a favorire il falso pentitismo. Per questo meritava una seria, aggiornata, riflessione. Introdotto come una delle misure “premiali” della lotta alla mafia, il 4 bis si è radicato come strumento frutto e fonte di una ideologia aberrante legittimando l’indegno scambio tra concessione dei benefici ai condannati e collaborazione con la giustizia elevando il baratto e la prostituzione delatoria di Stato a sistema di conduzione carceraria.

La cronaca recente del condannato a dieci anni di carcere grazie alle “confessioni” di mafiosi “pentiti” e poi assolto dalla Corte di appello di Messina dopo aver trascorso un decennio in detenzione rappresenta soltanto l’ultima dimostrazione dei gravi rischi legati al falso pentitismo. È un terreno magmatico quello della revisione del 4 bis, imbrigliata com’è tra i legittimi timori che l’ampliamento dei benefici carcerari rappresenti un favore all’associazionismo mafioso, la paura di sacrificare la sicurezza e la invocata necessità di non tradire la tutela delle vittime, insomma di esser percepiti dalla parte dei delinquenti. Ma aver accantonato il confronto e la discussione su questo articolo dell’Ordinamento penitenziario significa aver scelto di soprassedere sugli elementi di incongruenza che lo pongono fuori dall’alveo costituzionale. Innanzitutto, sotto il profilo della valenza rieducativa della pena non v’è alcuna traccia se si esclude quella alla prostituzione e al ricatto che incoraggia la pratica delle false accuse di correità di altri individui spesso estranei alle vicende delittuose. Non solo. Il 4 bis calpesta il diritto costituzionale di dichiararsi innocente di qualsiasi detenuto che, condannato ingiustamente e non avendo informazioni da consegnare alla giustizia, si vede precluso in partenza ogni accesso ai benefici detentivi. È ammissibile non aver affrontato le criticità di un sistema che spinge anche chi è ristretto ingiustamente a piegarsi alla verità della sentenza definitiva, alla “rieducazione” della forzatura autoaccusatoria ed alla delazione di estranei pur di avere uno spiraglio sui vantaggi penitenziari? Purtroppo, come le dichiarazioni del procuratore antimafia Franco Roberti e del Pm Nino Di Matteo, contrari ad indebolire la normativa, hanno confermato da subito, dalle Procure arriverà sempre il veto a qualsiasi tentativo di revisione di uno strumento di indagine che rappresenta il massimo mezzo di pressione estorsiva sui condannati.

Il senso di generalizzata rassicurazione che è seguito in Aula alla decisione di escludere mafiosi e terroristi dai benefici (respinta anche la possibilità che a concederli a chi ne ha diritto siano direttamente i giudici di sorveglianza) ne è la prova. In spregio all’aberrante disumanità che annichilisce la possibilità di riprogettarsi prevista dal dettato costituzionale e dalla normativa europea. Si è voluto mancare un importante appuntamento. Schivato il rischio di scardinare gli strumenti deputati a cautelare i cittadini, però, una politica meno populista e forcaiola deve prendersi la responsabilità di pensare a quali elementi correttivi applicare ad un sistema dell’Ordinamento penitenziario che seguita a favorire il falso pentitismo. E che violenta in modo indegno lo Stato di diritto: la pena per esser rieducativa implica che i benefici vengano accordati in base al comportamento del detenuto e non in base a logiche ricattatorie e prostitutive. Ma il ddl non recitava “Modifiche al Codice penale e al Codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all’Ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”?

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:02