Le linee di una grande   riforma garantista

Raffaele Della Valle (nella foto), grande avvocato e punto di riferimento della cultura garantista nel nostro Paese, traccia un quadro della giustizia in Italia in cui delinea le direttrici che andrebbero seguite per realizzare una vera e profonda riforma del sistema giudiziario. I temi sono quelli maturati nel corso dell’ultimo decennio: il giusto processo tradito in cerca di consenso popolare, l’eccessiva contiguità tra magistrati inquirenti e giudicanti, il vuoto della politica che ha aperto la strada alla supplenza della magistratura, la necessità di rinforzare i tribunali svuotando il ministero e gli enti pubblici, il ritorno alle tre Cassazioni territoriali per snellire il lavoro della Suprema Corte, le leggi demagogiche predisposte sempre dai magistrati. E, infine, un appello alle Camere Penali a far sentire con più forza la propria voce in favore di una riforma non più rinviabile, pena la paralisi della società italiana.

Sulle riforme che investono il sistema della giustizia, in particolare quella penale, si gioca la partita degli equilibri democratici. Il cittadino è tutelato o gli interventi che si prospettano rappresentano un’alterazione del sistema processuale a svantaggio delle garanzie del cittadino?

“Dal punto di vista formale il nostro codice è estremamente avanzato e sufficientemente garantista, perché sancisce princìpi in sintonia col giusto processo. Ma l’impostazione formalistica delle norme viene spessissimo tradita da un’interpretazione non “in favor rei ma in contra reum”. L’ultima parola l’ha sempre l’interpretazione e l’applicazione della norma. E una pubblica accusa sostenuta dal consenso popolare incide sull’autonomia interna dei magistrati giudicanti. Quando un presidente di un tribunale deve giudicare un imputato per cui il pubblico ministero ha chiesto la condanna ed è lo stesso Pm che poco dopo dovrà esprimere il suo parere sulla carriera di quel presidente è ovvio che il giudizio è viziato”.

La separazione delle carriere resta il nodo cruciale su cui nessun Governo si cimenta.

“Perlomeno si cominci ad abolire la possibilità che i Pm incidano sulla carriera dell’organo giudicante. Almeno questo. Poi, sul filo dell’ironia, bisognerebbe iniziare ad affrontare la... “separazione dei letti”. Talvolta si verificano situazioni imbarazzanti tra alcuni giudici e Pm: alludo a relazioni di fatto e non di diritto che non possono trovare sanzioni in provvedimenti ostativi non essendo le fattispecie previste come cause ostative a lavorare entrambi su un’inchiesta specifica”.

Certo, la condivisione dei letti tra un chirurgo e l’anestesista crea interazioni più virtuose...

“La qual cosa molto spesso crea ricadute “affettuose” su molti procedimenti. Questi problemi esistono realmente”.

La magistratura ha il potere di condizionamento sul piano legislativo ed è ormai dato acquisito che il diritto penale sia diventato un mezzo per abbattere il nemico e uno strumento di etica pubblica e di risposta ad ogni emergenza.

“Sì, ma la responsabilità è del potere politico che ha abdicato dalla sua funzione e da un trentennio ha scaricato sulla magistratura l’obbligo di risolvere problemi che sono di natura politica. Invece che intervenire tempestivamente con delle normative precise di carattere politico-amministrativo, qualsiasi comportamento è stato riconducibile all’autorità giudiziaria. Ad essa si rivolge la politica per colpire gli avversari sul piano penale. Basta un esposto e insinuare il dubbio che in una certa condotta possa essere ravvisabile un estremo di reato e l’autorità giudiziaria può stabilire se tizio può o meno essere candidabile. Pensiamo al caso di Como: una giunta sciolta per scoprire che il fatto non sussiste e giungere all’assoluzione dei primari ospedalieri che volontariamente gestivano la Casa di cura. Il combinato disposto autorità giudiziaria/ tam-tam mediatico crea un fumus in cui qualcuno finisce sempre abbrustolito. Non possiamo lamentarci se lo strapotere giudiziario ha riempito il vacuum lasciato da un potere politico che arretra sempre più. Oltretutto la politica appena è in difficoltà pesca un magistrato e lo nomina commissario. Siamo commissariati dai magistrati in Italia, in qualsiasi cantone c’è Cantone. È impensabile che a Milano non vi siano persone serie e oneste tra ingegneri, avvocati, commercialisti, giornalisti capaci di svolgere il suo compito? I sindaci di Napoli e di Bari sono magistrati, rischiava anche Venezia... siamo un Paese di grandi corrotti in cui l’onestà è appannaggio esclusivo dei magistrati?”.

Garanzie di legalità a parte è chiaro il perché sia invalsa questa tendenza...

“Perché il potere politico così si para le spalle, questo deve essere chiaro a tutti”.

Poi c’è la necessità politica di trarre vantaggi elettorali assecondando le ansie punitive dell’opinione pubblica.

“Il legislatore ormai all’impero della ragione ha ceduto all’impeto della passione e dall’emotività dell’opinione pubblica. Altro che “frigido pacatoque animo”, escono leggi assurde”.

Si riferisce anche alle nuove fattispecie di reato?

“Il femminicidio, l’omicidio stradale, sono assurdi giuridici cui si attribuisce il compito di portare più voti. Il legislatore prevede l’omicidio a prescindere dal sesso di chi viene ucciso. Sono leggi demagogiche. Applicando correttamente le normative si sarebbe arrivati ugualmente a pene alte. Blandire l’opinione pubblica e aumentare le pene non spegne i fuochi della delinquenza. Sono leggi passionali, prive della funzione di durare e parlare extra omnes”.

La Cedu chiede la ragionevole durata del processo e noi allunghiamo i tempi della prescrizione sottoponendo il singolo alla pretesa punitiva in perpetuum.

“Anche questo è un tema di cui si discute con la pancia. Da quarant’anni il legislatore europeo ci chiede il processo veloce e noi rispondiamo spostando i termini della prescrizione che ha una sua ratio: a un certo punto cessa la pericolosità sociale e l’interesse a perseguire l’autore di un fatto compiuto dieci-quindici anni prima e che non detta più allarme sociale. Dilatarla è mera demagogia. Vanno piuttosto potenziati gli uffici giudiziari, le cancellerie, gli ausiliari. Indagare un cittadino per quindici o ventidue anni, significa rovinargli la vita soprattutto dai quaranta ai sessant’anni, quando l’uomo rende maggiormente. Si ripeschino i magistrati che lavorano nel ministero e nei vari enti dotandoli di maggiori mezzi. Sfrondiamo il processo penale da molti reati destinandoli alla sede civile e si taglino i rami secchi del codice di procedura penale”.

Ad esempio?

“Stabilire una sanzione seria e consistente, di natura pecuniaria, nel caso in cui l’impugnazione risultasse palesemente temeraria e defatigatoria. Prevedere la condanna anche per l’avvocato, se incorrono gli estremi di una lite temeraria. Più a monte, se si vuole dare un senso all’udienza preliminare e una dignità al Gup, oggi ridotto ad una mera fictio, occorrerebbe conferirgli più poteri sul versante del proscioglimento proprio per evitare quei dibattimenti inutili che finiscono poi, irrimediabilmente, per “intasare la strada” con le ricadute più o meno giuste”.

Per snellire il sistema processuale si vuole modificare il regime delle impugnazioni, in particolare il ricorso in Cassazione introducendo dei filtri come per il civile. In realtà poi l’appello non è tutelato dalla Costituzione ma soltanto dalla Cedu, dalla prassi e dai codici. C’è il rischio che il cittadino e la difesa abbiano sempre meno garanzie e tutela del diritto?

“Il regime delle impugnazioni, appello-ricorso per Cassazione, deve essere modificato. Una norma che riduca i ricorsi ci deve essere. È vero che la Cassazione spesso ingiustamente ricorre all’inammissibilità. Ma i magistrati cassazionisti lavorano in condizioni impossibili, sommersi da faldoni di processi giornalieri. Una mole di lavoro che si riversa su Roma. Allora perché non torniamo al codice Zanardelli, restituendo una Cassazione nel nord, una nel centro e una nel sud? Non sarebbe affatto un passo indietro, anzi. La suprema Corte di Cassazione a Roma è occupata da magistrati in larghissima maggioranza del centrosud, perché tempi e costi di viaggio sono impegnativi se si considera l’età media di chi avrebbe l’orgoglio di lavorare per la Corte di legittimità. Ci vuole maggiore equità di accesso. L’inammissibilità, poi, va prevista con cautela, con un’applicazione immediata su determinate sentenze che riguardano reati secondari e gabellari. Se si è optato per il patteggiamento è assurdo poter ricorrere in Cassazione. I ricorsi fasulli sono una miriade in quanto il legislatore lo consente. Poter giudicare inammissibile un ricorso tout court in Camera di Consiglio è, al contrario, una contrazione delle garanzie. Poi andrebbe reintrodotto il “patteggiamento in appello” che ha consentito, negli anni passati, uno snellimento del processo quando su accordo delle parti, difesa e Procura generale, la Corte, a seguito di ponderato giudizio, riconosceva le condizioni per la sua applicazione”.

L’accusa ha sempre la possibilità di ricorrere in appello in caso di assoluzione in primo grado...

“Occorrerebbe reintrodurre il principio della inappellabilità, da parte del Pm e del Procuratore generale, delle sentenze assolutorie, in armonia anche con il principio costituzionale sancito dal ragionevole dubbio. Se non ci sono sufficienti prove di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, un imputato deve essere assolto così come avviene negli Stati Uniti. Punto e basta! Nel processo Stasi, per esempio, si è verificata questa situazione: c’è stato un primo Gip che ha respinto l’ordinanza di custodia cautelare, c’è stato poi un Gup che lo ha assolto e successivamente l’assoluzione è stata confermata dalla Corte d’Assise d’Appello composta da due autorevolissimi magistrati togati di Milano. Non si era forse in presenza del ragionevole dubbio?”.

Recentemente lei ha esortato esplicitamente le Camere Penali ad una maggiore determinazione nella difesa dello stato di diritto contro provvedimenti improntati al populismo penale.

“Le Camere Penali si stanno attivando in tema di prescrizione, ma mi auguro che lo facciano anche su altri fronti come quella reale barbarie che è l’istituto delle misure di prevenzione. È assurdo che il Pm possa aggirare la sentenza di assoluzione dal reato di riciclaggio a carico di un cittadino e tenerlo ostaggio chiedendo la misura di prevenzione. Basta che si verifichi un fumus sulla natura di un patrimonio ricevuto in eredità trent’anni prima e di cui non ci sono più documenti, che ci si ritrova col sequestro dell’intero patrimonio. Così si sta distruggendo l’economia. Sequestri conservativi senza motivazioni, la cui gestione è affidata a commissari, scelti talvolta con criteri discutibili. Le Camere Penali su questo devono alzare la voce: rivendicare più potere, tanto più che in questo periodo il vero legislatore più che il Parlamento deve identificarsi nel cospicuo numero di magistrati applicati ai ministeri e che si dedicano alla predisposizione delle bozze di legge”.

Ma è soltanto un problema di leggi?

“No, si possono fare tutte le norme che vogliamo, nel bene e nel male, ma si deve agire sull’uomo e sulla cultura del giudice, ripartire dalla cultura del rispetto della persona, dell’umiltà, dell’equilibrio e dell’equità. Prenda la legge sulla responsabilità civile. Non serve se quel magistrato seguita nei suoi errori e vizi di impostazione perché nessuno gli fornisce segnalazioni adeguate. Questo non significa far perdere autonomia al magistrato ma migliorare “il prodotto Giustizia”. Parlo di responsabilità professionale. Occorre più controllo da parte dell’autorità giudiziaria sui provvedimenti giuridici emessi con un monitoraggio sull’iter delle sentenze dei rispettivi magistrati in appello e in Cassazione e la percentuale di quelle non passate al vaglio dell’impugnazione. Il magistrato sbaglia otto sentenze su dieci? Si prevedano correttivi idonei a emendarlo o spostarlo”.

Valori assenti anche in materia di carcerazione preventiva dove la sospensione è prevista ma un’interpretazione estensiva viene spesso utilizzata per protrarre lo stato detentivo. Non si tratta di uso antigiuridico della decorrenza dei termini?

“La custodia cautelare è un “male necessario” se, però, è limitata dalla necessità. Talvolta costituisce un rozzo rimedio alle disfunzioni ed alle lungaggini processuali, assumendo su di sé finalità intimidatorie. Ora, poiché il criterio “regolativo” della misura è e deve essere quello della stretta necessità, introdurre ulteriori elementi che comportino una dilatazione dei già oltremodo dilatati termini di custodia, significherebbe, innegabilmente, provocare un’ulteriore frattura al già delicato e precario equilibrio su cui si fonda il rapporto individuo-autorità. Lo slogan deve essere: “meno carcere preventivo e più sentenze definitive. La legge ha ovviamente posto dei limiti ma, di fatto, talvolta il ricorso alla clausola di stile “pericolo di reiterazione” è davvero imbarazzante”.

Cosa pensa dell’interpretazione estensiva del reato di associazione mafiosa applicata dai magistrati romani nel caso di “Mafia Capitale”?

“Non conoscendo gli atti il mio è un giudizio molto approssimativo e superficiale, ma ho l’impressione che più che di Mafia Capitale, si possa parlare di… mafia alla vaccinara”.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:37