Regioni e ragioni: la sconfitta renziana

Ai ballottaggi Matteo Renzi perde e la destra respira. Merito della ritrovata coesione del fu centrodestra? Macché. Quella dell’uniti-a-qualunque-costo non è la chiave giusta per comprendere la svolta registrata nelle urne di domenica scorsa. Il dato analitico sul quale varrebbe riflettere è un altro: la società civile è un passo avanti rispetto alle sue classi dirigenti. Raccontare il mini-sisma elettorale dell’altro ieri, con la caduta delle storiche roccaforti di Venezia e Arezzo, disquisendo sui presunti effetti della paura e del senso d’insicurezza determinato dall’esplosione del fenomeno immigrati resta alquanto riduttivo.

Certamente vi è stata una componente di allarme sociale che ha fatto aggio sul risultato finale. Come ha pesato il senso di delusione per le mancate promesse di un premier che ha millantato credito presso gli italiani. I segnali di ripresa economica non arrivano e la gente lo sente sulla propria pelle. Non si ha bisogno di attendere i dati Istat per scoprire che le cose continuano a peggiorare anziché migliorare. La sconfitta della sinistra, sebbene circoscritta a poche ma significative realtà, incide nel profondo della proposta politica del Partito democratico. Cos’è accaduto in questi mesi? Grazie al faccino simpatico e comunicativo di Renzi si è tentata una gigantesca operazione di trasformazione culturale della società. Attraverso un’azione concentrica di tutte le componenti della sinistra ex-comunista e del popolarismo cattolico, si voleva trasformare l’Italia da Stato-nazione in “società aperta” al mondo, priva cioè di frontiere e di identità propria.

La politica dell’accoglienza illimitata non nasce da una necessità della storia, ma è generata da una visione ideologica del futuro. La classe dirigente oggi al Governo ha pensato di prendere a bordo tutta l’umanità in fuga dalle proprie terre d’origine per riversarla all’interno del proprio territorio e di quello dell’Unione. Ma non è andata come sperato. Gli altri Paesi hanno preso posizioni forti per abbandonare l’Italia alla sua solitaria corsa verso il suicidio sociale. Ora che i clandestini raccolti in mare sono bloccati in una sorta di limbo territoriale, la nostra gente sta cominciando ad aprire gli occhi ed a comprendere quale sia la vera politica di questo Governo.

Da qui la bocciatura consegnata al Presidente del Consiglio attraverso le urne dei ballottaggi. Senza scadere nel razzismo e nella xenofobia, gli italiani hanno detto che c’è ancora voglia di sentirsi popolo orgoglioso della proprie tradizioni e amante della propria terra. Nel comune sentire non è passata l’idea dell’annullamento delle frontiere e dell’assorbimento passivo dell’alieno proveniente da altri contesti. Sta, invece, passando l’idea che essere buoni equivale ad essere deboli. E fessi. Probabilmente la sinistra, nelle segrete stanze, dirà che gli italiani non sono ancora pronti per recepire la filosofia buonista della “terra è di tutti in generale e di nessuno in particolare”. Se è così, sbaglia.

Gli italiani non saranno mai disponibili a questa mutazione genetica. Per loro: famiglia, patria e proprietà privata sono ancora valori inalienabili sui quali fondare il patto sociale. Non anticaglie del passato, come vorrebbe la sinistra. Ecco perché avevano ragione Prezzolini e Montanelli nel dire che il nostro è, e resterà, nella sua parte maggioritaria un popolo di destra. E di questo c’è da esserne fieri.

Adesso che la sbornia renziana sta evaporando, la destra può rimettersi in cammino per riprendersi la guida del Paese. Tuttavia, deve fare una seria autocritica sugli errori macroscopici commessi in passato. Prima di andare dagli elettori sarebbe opportuno una visita dall’oculista per farsi curare la miopia da cui è stata affetta negli ultimi anni. Almeno eviterà di scambiare la lucciola di “Area Popolare” per la lanterna del centrodestra.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:21