
Quest’anno la parata militare del 2 giugno ha sfiorato l’indecenza. Quello che un tempo era il momento di massima rappresentazione dell’orgoglio patrio è stato trasformato, lo scorso martedì, in una sagra di paese. Non si è trattato di uno scivolone organizzativo ma di una scelta ideologica ben precisa. L’obiettivo che questa classe di governo si è dato mira a cancellare di fatto il sentimento d’identità nazionale dal vissuto quotidiano degli italiani. Era chiaro a tutti, vedendo le immagini della tribuna d’onore, l’ostentata insofferenza della signora Boldrini al passaggio dei nostri ragazzi in armi.
C’è un motivo. La presidente della Camera dei Deputati sta lavorando a sostenere una legge d’iniziativa popolare per la creazione di una Forza Civile non violenta e non armata, alternativa alla struttura militare. È uno sconcio che sta andando avanti da un anno e ci domandiamo quando qualcuno dai banchi dell’opposizione faccia sentire la sua voce. Ma il premier Renzi non è da meno. Dietro l’immagine da bravo ragazzo si cela l’operato di uno stratega che ha deciso di fare dell’Italia, con giusto due secoli di ritardo rispetto all’autore della citazione originale, una semplice espressione geografica. In lui hanno trovato il giusto punto di sintesi le istanze del pacifismo cattolico, del terzomondismo comunista, dell’antimilitarismo congenito della sinistra e il finto buonismo di una borghesia egoista.
Sofisticare il messaggio che la parata intende trasmettere ai cittadini con la sovraesposizione di tematiche dissonanti significa, in primo luogo, fare torto alla storia del paese. Sono molti a concordare sul fatto che l’Italia unita sia venuta alla luce con la partecipazione al primo conflitto mondiale. Se, sulla carta, il paese era stato unificato cinquant’anni prima è soltanto sul Monte Grappa, sulle pietraie del Carso, sulle rive dell’Isonzo e del Piave che uomini sconosciuti tra loro hanno scoperto di essere un popolo accomunato da un uguale destino. Se la lotta partigiana ha costituito il basamento sul quale è stata innalzata l’architettura democratica, il nostro esercito ha rappresentato la spina dorsale intorno alla quale si è configurata l’identità italiana. Negare il legame che vive tra la comunità e la sua forza armata, come se quest’ultima fosse un’escrescenza impresentabile di un passato ingombrante, è più che stupido: è criminale.
A maggior ragione in questi tempi bui dove occorre difendersi dai propositi aggressivi di popoli, di religioni e di culture che percepiscono il pacifismo nostrano alla stregua di una condizione di debolezza e di decadenza di una civiltà assoggettabile. Ciò che è accaduto il 2 giugno spiega il perché Renzi e i suoi non facciano nulla per proteggere l’identità italiana. Essi non credono che debba ancora esistere un fattore connotativo così marcato. Nel loro farneticante mondialismo l’unica cosa che conta è il mito di una nuova fratellanza originata dalla globalizzazione economica. Peccato però che i tedeschi continuino a fare i tedeschi, proteggendo la loro identità come fanno i francesi, gli inglesi, i russi, i turchi, i cinesi, gli indiani e tutti gli altri popoli uniti da una cultura, da un territorio e da una lingua.
La decisione di festeggiare la Repubblica a quel modo ci riporta indietro nel tempo quando la parata fu sospesa per sette anni eseguendo la volontà di un altro arnese del moralismo cattolico più bigotto: Oscar Luigi Scalfaro. L’attuale Capo dello Stato appartiene alla medesima scuola di pensiero del suo non compianto predecessore. Nessuna meraviglia, allora, se l’anno prossimo avessimo qualche altra spiacevole sorpresa. Renzi e i suoi stanno facendo danno all’Italia molto più di cento Fornero messe insieme. Perché per stare al mondo con dignità contano i soldi che non ci sono, ma contano anche quei valori che oggi si gettano alle ortiche.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:32