
Ci sono almeno due modi per spiegare come siano andate le cose nelle elezioni regionali della scorsa domenica. Un modo è quello di leggere le analisi elaborate dai ricercatori dell’Istituto Cattaneo che confrontano dati, elaborano percentuali, stabiliscono metodi di rilevazione del consenso. Un altro modo è quello di leggere la storia dell’ex-operaio della Metalba di Belluno, raccontata ieri da Mario Valenza su “Il Giornale” on-line, al quale la Croce Rossa ha negato un pasto perché non aveva il certificato legale di “disperato”.
Se volessimo giudicare i risultati elettorali facendo funzionare le “celluline grigie”, come le chiama Hercule Poirot, dovremmo lavorare sui numeri offerti dall’Istituto Cattaneo. Noi invece preferiamo interrogare il cuore, che qualche insulso politicante a digiuno di anatomia continua a confondere con la pancia, perché ci spieghi cosa è accaduto domenica.
Soprattutto ci aiuti a capire del perché metà della cittadinanza italiana, pur dovendo esercitare il “sacro” diritto/dovere del voto, si sia astenuta mentre un’altra metà di coloro che hanno messo la scheda nell’urna abbia scelto movimenti e partiti dichiaratamente ostativi all’attuale blocco di potere. Se Matteo Salvini cresce nei consensi e il Movimento 5Stelle fa ingresso in tutti i Consigli regionali rinnovati lo si deve anche al fatto che l’anonimo ex-operaio bellunese, di 54 anni, padre di famiglia e disoccupato, non sia riuscito, dopo essere stato in fila alla mensa dei poveri per un’intera mattinata, a portare via un pacco di pasta e un litro d’olio.
Cosa volete che facesse questo signore? Votare per la telegenica renziana Alessandra Moretti, ladylike? La stessa che, in un’intervista illuminante, spiegò agli italiani e alle italiane che andare almeno una volta alla settimana dall’estetista per rifarsi il look fosse un imperativo della coscienza prima ancora che una voluttà dei sensi. C’è spazio anche per valutare cosa risulti più urticante nella storia del disoccupato di Belluno. Se si è leghisti si tende a evidenziare il fatto che al poveraccio rimasto a bocca asciutta siano stati preferiti gli extracomunitari clandestini in fila con lui. Se si è meridionali si può sottolineare la circostanza che l’anonimo disperato veneto sia in realtà un napoletano emigrato al nord undici anni orsono in cerca di lavoro e da cinque lasciato a piedi da quello Stato che avrebbe dovuto proteggerlo.
Se si è grillini si può usare la vicenda per dimostrare che con un reddito minimo di cittadinanza quella persona non si sarebbe trovata a fare la fila per un pacco di pasta negato. Se poi si è contro a prescindere, si può sempre dire: “fa tutto schifo, faccio bene a non votare e questi politici andassero tutti a…”. Comunque la si giri, la storia raccontata spiega meglio delle analisi politologiche-sociologiche-antropologiche del caso perché la gente si sia stufata e vuole che si produca un cambiamento radicale nelle istituzioni e nella società. Le stime di crescita del Pil, spacciate per buone dal chiacchierone Renzi, non riempiono i piatti sulle tavole di oltre 10 milioni di italiani. Con i più-zero-virgola non si esce dalla povertà nella quale una parte del paese è precipitata.
E neppure lo si fa scattando selfie con i Marchionne di turno, le cui aziende hanno preso tutto quello che si poteva arraffare dallo stato italiano e poi sono scappate all’estero, lasciando sul posto miseria e disoccupazione. L’unico rimedio possibile sta nel ricostruire una comunità di destino nella quale nessuno sia lasciato indietro. Diversamente, prepariamoci al peggio perché quello di domenica è solo l’antipasto. Il bello deve ancora venire.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30