
Berlusconi è ritornato in campo. Ciò introduce elementi di novità in un quadro politico poco dinamico, di là dell’apparente attivismo dei protagonisti in scena. Soprattutto a destra. Il vecchio leader sta macinando un’idea piuttosto interessante: quella di fondare in Italia un partito unico del centrodestra sulla falsariga del modello del partito repubblicano statunitense.
È un bene che se ne discuta perché, la proposta, almeno per come è stata abbozzata, suscita più di una perplessità. Il punto nodale ruota intorno alla questione dei moderati. La domanda è: esiste ancora un blocco sociale moderato? È opportuno chiarirsi su una questione dirimente. Se per “moderato” s’intende una variabile qualificativa del comportamento individuale o collettivo, allora siamo fuori strada. Non può essere un aggettivo a comporre un blocco sociale. Se, invece, in gioco c’è la filosofia del moderatismo, che fu la stella polare della Democrazia Cristiana, è tutt’altra storia. Per un partito interclassista, qual era la Dc, la politica significava sintesi di interessi confliggenti.
La conciliazione degli opposti avveniva mediante il compromesso prodotto da un processo negoziale tra componenti sociali rappresentate. Quest’approccio ha consentito alla Dc di rifondare l’Italia e farla marciare al pari delle altre potenze occidentali. Ora, dopo quasi un decennio di crisi strutturale, un ipotetico partito del centrodestra sarebbe in grado di riprodurre la medesima condizione di dialogo interclassista al proprio interno? A nostro parere è improbabile. Due aspetti depongono a sfavore di questa ipotesi. Il primo riguarda gli ultimi vent’anni della storia nazionale. Il centrodestra, benché guidato da un leader carismatico di grandi capacità personali, non è riuscito a fare sintesi. La conseguenza manifesta di questo insuccesso sta nei numeri degli elettori che progressivamente hanno abbandonato il campo. Sono oltre nove milioni coloro che, avendo in passato votato per il centrodestra, hanno smesso di farlo. Il secondo aspetto riguarda la perdita di sovranità.
Il paese ha ceduto potere a beneficio dell’Unione europea. Oggi, a differenza di ieri, qualsiasi proposta politica per essere valida deve ricevere la “bollinatura” delle autorità finanziarie e monetarie dell’Ue, altrimenti è solo propaganda. E questo gli italiani lo hanno compreso molto bene. Berlusconi ha l’obbligo di guardare in faccia la realtà. La componente dei “garantiti” dal sistema si è riposizionata sull’offerta politica del “tutto compreso” di Matteo Renzi. L’attualità italiana, invece, racconta di una massa di 10 milioni di cittadini, provenienti in parte dal ceto medio tradizionale, che vive in condizioni di disagio, se non di povertà assoluta. Aiutarli sarebbe un dovere, prima che un’opzione strategica, ma le politiche di sostegno al reddito restano un tabù per una visione “mercatista” della società e dell’economia.
Se poi altri, come la Lega e Fratelli d’Italia, per non parlare del voto congelato nel frigorifero grillino, si pongono sulla lunghezza d’onda del riscatto identitario, come si pensa di trovare la sintesi con le esigenze di sradicamento territoriale imposte dal “turbo capitalismo”? E poi, si vuole fare un partito che guardi agli ideali conservatori restando ancorati al popolarismo europeo. Non si rischia l’impasse, già vissuto, di un sogno liberale affidato ai sacerdoti e alle vestali del centrismo cristiano democratico? E in politica estera dove ci si colloca: tra i gollisti de “l’Europa una, dall’Atlantico agli Urali” o tra i filo-obamiani della nuova guerra fredda? Non vorremmo che si preconizzi un altro partito dell’ossimoro. Del tutto e il contrario di tutto. Sarebbe soltanto altro “ghiaccio bollente” sulle piaghe della destra italiana.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:35