Ancora una volta giustizia mediatica, un nuovo un tassello all’incivile ma radicata e ben collaudata pratica di celebrare i processi in tv e far strame dei più elementari e civili diritti del cittadino sanciti dalla nostra Carta Costituzionale: Rai 3 ha programmato per la prima serata di sabato 13 dicembre una docu-fiction sul caso di Pierpaolo Brega Massone, il chirurgo milanese, ex primario della Clinica Santa Rita, convenzionata con sistema sanitario nazionale, accusato di quattro omicidi volontari (per cui è stato condannato in primo grado all’ergastolo) e di 45 casi di lesioni gravi e truffa (per cui è stato condannato a 15 anni e mezzo), ora agli arresti cautelari ed in attesa di sentenza di secondo grado rispetto alla prima sentenza di condanna all'ergastolo.
Che Brega Massone sia o meno colpevole sarà l’ultimo grado di giudizio a decretarlo, ma una cosa è certa ed è la responsabile mancanza di alcuna remora o esitazione del sistema mediatico, in questo caso specifico di Rai 3, a sacrificare sull’altare dell’audience il rispetto per un individuo i processi a cui carico sono ancora da concludere. E’ ormai la regola, da qualche decennio a questa parte, la vocazione del sistema informativo ad azzerare sotto i riflettori della gogna mediatica il principio della presunzione di innocenza. E quello che andrà in onda sabato prossimo è l’ennesimo, vergognoso siparietto pronto per aprirsi alla claque del pubblico a casa e tristemente destinato ad aggiungersi a quella cultura intrisa di show ed esibizione che Guy Debord definiva “La societè du spettacle”. L’imputato sarà processato e condannato, una volta di più, non in un'aula di tribunale in nome della legge ma su una rete televisiva del servizio pubblico in nome dell’audience.
Ora, non è certo questa la sede adatta per entrare nel merito di un processo, quello che si è celebrato e deve ancora terminare nell’aula del tribunale vero, che comunque presenta evidenti incongruenze e solleva legittimi interrogativi. A cominciare dal mistero per cui, nel corso dei tre procedimenti civili intentati da tre pazienti che non si erano costituiti parte civile nei processi penali optando per la richiesta di risarcimento danni per aver subito operazioni ritenute inutili, il consulente d’ufficio nominato dal giudice civile ha affermato la assoluta correttezza dell’operato del chirurgo con conseguente rigetto delle richieste di risarcimento. E addirittura in uno di questi casi, sempre in base al parere del consulente d’ufficio (che è sempre esterno, indipendente e diverso nei vari processi) nel processo civile è stata stabilita l’assoluta correttezza del chirurgo, mentre nel processo penale gli è stato dato l’ergastolo. E poi perché i giudici penali, nonostante le ripetute richieste difensive, non hanno voluto acquisire agli atti le consulenze d’ufficio disposte nei processi civili terminati tutti in modo favorevole all’imputato, limitandosi ai pareri del consulente che fa capo alla Procura? Ecco cosa può aggiungere in questo quadro una ulteriore gogna televisiva? “Gravi danni - spiega l’avvocato Vincenzo Vitale, uno dei difensori di Brega Massone - potrebbero anche derivarne ai familiari e soprattutto alla figlia dodicenne poiché dagli spezzoni già mandati in onda, appare chiaro che la fiction dipingerà nuovamente il chirurgo come un mostro assetato di denaro ed incurante dei pazienti a lui affidati”. Ma il rischio più grande non riguarda l’influenza negativa fatalmente indotta sui telespettatori. Ad essere condizionati negativamente dalla ‘narrazione televisiva’ di una docu-fiction mandata in onda con processi ancora da celebrare potrebbero essere coloro che, oggi spettatori, domani saranno chiamati a fare da giudici popolari nel processo d’appello, che si terrà nel 2015 a carico di Brega Massone. Tanto più che le autorità carcerarie negarono al chirurgo il permesso di rispondere ad un’intervista da trasmettere alla fine del docu-film. Come dire che nel processo mediatico l’accusato deve rassegnarsi a subire la demonizzazione senza possibilità di difesa.
Gli avvocati della Rai, in risposta alla notifica del ricorso già presentato dai legali di Brega Massone che chiedevano di bloccare la trasmissione poiché le responsabilità penali del medico ancora non sono state accertate con sentenze definitive, ad ottobre avevano assicurato che la docu-fiction non sarebbe stata mandata in onda il prossimo 31 ottobre. Cosa ha spinto la Rai a tornare sui suoi passi dopo due mesi? Già che siamo in epoca di controlli e controlli mancati ricordiamo che l’Agcom nel 2008 ha deliberato un ‘Atto sulle corrette modalità di rappresentazione dei procedimenti giudiziari nelle trasmissioni radiotelevisive’ incardinata proprio sulla “tendenza di alcuni programmi televisivi a trasmettere in forma spettacolare vere e proprie vicende giudiziarie in corso... per cui si crea un foro mediatico alternativo in cui il linguaggio televisivo si sostituisce a quello ben diverso del procedimento giurisdizionale…tanto che la tutela della dignità umana e il diritto al giusto processo garantiti dalla nostra Costituzione e dai principi comunitari vengono piegati e la gogna mediatica può diventare essa stessa una condanna preventiva inappellabile e indelebile”.
Al momento i difensori di Brega Massone hanno inviato una diffida formale in forma legale al direttore di Rai 3, Andrea Vianello, al direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi, al presidente Rai Anna Maria Tarantola, alla società che produce il docu-fiction e AverMedia Company e per conoscenza al ministro della Giustizia, al capo dello Stato e al Garante dei detenuti della Regione Lombardia.
In attesa che il sistema mediatico-giudiziario, con le sue regole, le uniche, a quanto sembra, da rispettare, diano un’ulteriore prova di voler garantire un’illusoria e strabica esigenza di trasparenza ed imparzialità che spesso si riduce ad una messinscena destinata a consentire alle procure di calcare il palco su cui esercitare e veder riconosciuto il loro primato. Questa, però, è la strada maestra per ampliare il solco tra cittadini e le garanzie costituzionali tra cui la presunzione di innocenza e per piegarsi alle forzature sia della giustizia penale sia dell’informazione, che ad essa, con prassi ormai sperimentata, fa da grancassa mediatica.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:02