
Non so se Re Giorgio si dimetterà o meglio abdicherà in favore di qualcuno a lui molto vicino. Io penso che non lo farà a breve per un semplice e chiaro motivo, le sue dimissioni non sono gradite a Silvio Berlusconi, posto che i dannosissimi consiglieri dell’ex Cavaliere lo indurranno a prostrarsi dinanzi a lui promettendo qualcosa che ovviamente, com’è successo in passato, non sarà mantenuta. Viceversa, in ogni caso non è peregrino né tanto meno azzardato esprimere un giudizio sull’attività istituzionale prestata da Re Giorgio in favore dell’Italia, ormai ridotta a tale livello di degrado da classificarla tra i Paesi più disastrati non solo di Europa ma del mondo.
Penso che dopo i Presidenti della Repubblica avvicendatesi nella carica dal 1948, Enrico De Nicola, Luigi Einaudi e Antonio Segni, persone di altissimo livello culturale e giuridico non a caso avvinghiati all’idea liberale sotto ogni profilo, abbiamo assistito alle gesta non certo esaltanti dei vari Giovanni Gronchi, Giuseppe Saragat, Giovanni Leone fino a giungere, passando per Sandro Pertini, Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, ad Oscar Luigi Scalfaro e Giorgio Napolitano. Purtroppo per noi italiani non si è mai trattato di escalation, bensì di inesorabile default. Per giudizio quasi unanime il picco massimo del “drawback” si sarebbe raggiunto nel periodo scalfariano.
Prendendo in esame l’Era Napolitano, vi è, se proprio un’impossibile rivalutazione del primo, una valutazione benevola di alcuni atti, se paragonati alle gesta davvero devastanti sotto il profilo democratico del secondo. Eletto con votazione risicata, o meglio con il contributo decisivo dei funesti ed inutili senatori a vita, Re Giorgio ha scalato il trono stabilendosi insieme alla sua famiglia sul Colle del Quirinale, muovendo giornalmente le fila della tristissima vicenda italiana da nove anni a questa parte, condizionando con le sue scelte la vita politica del Paese, certo non da solo, ma in concorso con le forze politiche certamente non in sintonia con la sua radicata idea politica che vedeva nel comunismo il faro e la salvezza dei popoli.
Prima della sua elezione alla massima carica dello Stato, Napolitano aveva ricoperto la carica altrettanto prestigiosa di Presidente della Camera. Nessuno può dimenticare l’immagine diffusa all’epoca dalla stampa che lo ritraeva mentre brindava a champagne con i suoi compagni all’invasione dell’Ungheria da parte dei carri armati sovietici, definita da lui operazione salvifica per l’Europa. Ma il tempo passa e questi tristissimi episodi in pochi li ricordano, mentre in molti ricordano le dimissioni del Governo Berlusconi provocate da un complotto descritto da un giornalista americano in un modo tale da non escludere l’intervento decisivo di Re Giorgio. Ma non basta, Napolitano nomina il professor Mario Monti, senatore a vita e quasi in contemporanea gli dà l’incarico di presiedere il tristissimo quanto disastroso Governo tecnico, che si ricorderà come il più deleterio per le sorti del Paese, sostenuto dal Partito Democratico e dal Popolo della Libertà, con Berlusconi, che viveva sotto la spada di Damocle della giurisdizione, spada che come volevasi dimostrare si è abbattuta, nonostante le assicurazioni dei sempre deleteri consiglieri, definitivamente sull’ex Cavaliere con la condanna definitiva e con la privazione di tutti i diritti civili e politici e con l’estromissione dal Senato. Ma il Cavaliere non contento favorisce la rielezione di Re Giorgio nella speranza della concessione della grazia, e con lo stucchevole senso di responsabilità consente la formazione di un Governo, quello presieduto da Enrico Letta, nipote del fidato Gianni Letta, che ovviamente tradisce tutte le aspettative tranne quelle dei fuorusciti da Forza Italia, che danno luogo ad un nuovo partito utile per varare il Governo del “pifferaio fiorentino”. Il tutto violando sempre, da tre anni a questa parte, il principio della democrazia rappresentativa sancita da quella Carta Costituzionale, frutto dell’opera di Enrico De Nicola che presiedendo la Costituente evitò che l’Italia finisse nelle mani di Palmiro Togliatti e quindi dell’Unione Sovietica.
Questa è la storia recente, ma noi italiani siamo non solo disillusi ma stanchi di subire lo strapotere di pochi, in nome della democrazia da tre anni violata, e vorremmo, qualora Re Giorgio si dimettesse, di poter eleggere noi il Presidente della Repubblica. Capisco che tutto ciò è un sogno, ma qualche volta, anche se molto raramente, i sogni si avverano.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:06