
Mi dispiace ma l’ufficio del Pubblico ministero (Pm) non può essere abolito per una sola, indispensabile ragione: la necessità di assicurare allo Stato la tutela dell’interesse pubblico violato. Ciò non vuol dire che il Pubblico ministero possa, come succede adesso, esercitare un potere che la Costituzione vigente non gli dà, allorquando interviene, sempre ed in ogni occasione, in presenza di un’indagine appena iniziata per chiedere una misura cautelare in carcere per il malcapitato che, come spesso accade, dopo tanto tempo viene prosciolto dai giudici, quelli sereni ed indipendenti, con la formula de “il fatto non sussiste”.
Il male che pervade l’esercizio della giurisdizione non sta nella funzione del Pm, ma nel modo con il quale viene esercitata. Ricordo che tutt’oggi esiste la norma costituzionale che impone al Pubblico ministero di ricercare prove non solo per sostenere l’accusa, ma anche in favore dell’indagato o dell’imputato. Tale norma, successivamente all’entrata in vigore della sciagurata Legge Breganze con la quale è stato riformato l’ordinamento giudiziario, è stata praticamente dimenticata o addirittura ignorata, e così l’ufficio del Pm, che una volta era caratterizzato dal principio gerarchico e dall’impersonalità, è diventato strumento di esercizio di un potere da parte del sostituto, al quale è stata affidata un’indagine che spesso non solo il suo capo non può sindacare ma neanche il procuratore generale può avocare per motivi diversi dalla negligenza (spesso foriera della lungaggine dei processi penali).
Quando si parla dell’indispensabile riforma che preveda la separazione delle carriere, si fa riferimento principalmente al fatto che sia chi indaga sia chi giudica appartiene allo stesso ordinamento giudiziario ed al fatto davvero anacronistico che il Pm può far carriera sia indagando che giudicando, come purtroppo constatiamo giornalmente.
Il processo penale si regge giustamente su di un architrave indistruttibile che prevede che al centro vi sia il giudice ed ai lati vi siano due soggetti, uno che rappresenta l’accusa e l’altro la difesa. Chi giudica deve essere indipendente e sereno mentre chi accusa deve rappresentare le ragioni di chi, a tutela dell’interesse pubblico, deve ottenere la condanna del reo o anche l’assoluzione nel caso in cui l’imputato dovesse risultare innocente. Chi difende, l’avvocato, la cui funzione è garantita dalla Costituzione, deve sostenere le ragioni di chi si sente innocente, o nel caso di un colpevole deve ottenere una condanna che preveda una pena in misura inferiore a quella richiesta dalla pubblica accusa.
Tutto funzionava alla perfezione fino al 1973, proprio perché, come detto in precedenza, l’ufficio del Pubblico ministero era caratterizzato dall’impersonalità e dalla gerarchia. Oggi tutto funziona male e la giustizia penale in Italia, l’ex Patria del diritto, è disastrata proprio perché, a causa dello strapotere dei Pm, i giudici spesso non sono sereni, avallando tesi accusatorie che si dimostreranno (dopo tanto tempo) infondate.
Anche nel 2014 sembra una chimera, o meglio ancora una bestemmia, invocare l’introduzione in Italia di un sistema vicino a quello dei Paesi anglosassoni, che prevede la totale equidistanza tra accusa e difesa con i Pm eletti dal popolo e gli avvocati liberi professionisti non soggetti alla disciplina degli ordini professionali così come prevista nella recentissima riforma. Tutto ciò è un sogno che ovviamente una persona della mia età purtroppo non vedrà mai realizzato.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:02