
La Leopolda come la “Bad Godesberg” della socialdemocrazia tedesca del 1959? Il crederlo, probabilmente, è solo una forzatura di natura intellettuale. Certo!
Qualcosa è cambiato nel Partito Democratico. Ma non da ieri. La tradizionale difesa degli interessi di classe a cui era ancorata la parte egemone del partito, proveniente dalla storia del vecchio Pci, è crollata definitivamente con la sconfitta elettorale del febbraio 2013. Lo ha spiegato Roberto D’Alimonte, in un articolo sul “Sole” di domenica scorsa. L’incapacità dell’allora leadership bersaniana di cogliere il successo nelle urne, pur in presenza della crisi più forte del centrodestra dall’epoca della sua nascita, ha mostrato tutti i limiti di una proposta politica che non è riuscita ad andare oltre gli steccati di una divisione verticale della società italiana. Non è stata in grado di coglierne la trasformazione indotta, prima, dalla crisi del modello fordista del processo produttivo e, dopo, dall’evoluzione in senso globale del capitalismo. Renzi è l’effetto di un’istanza di cambiamento avvertita dalle forze progressiste, non la sua causa motrice.
La domanda, legittima, che gli osservatori si pongono in queste ore si focalizza sulla possibilità o meno che questo processo di ristrutturazione, tutto interno alla sinistra, conduca nel breve/medio termine alla scissione delle due anime, quella conservativa e quella innovativa. Riteniamo che la questione sia puramente accademica. Il Pd eredita dal passato la capacità, che è stata dei grandi partiti di massa del Novecento, di riassumere al proprio interno la dialettica tra visioni contrastanti del futuro della società. Anche nei tempi più opachi del centralismo democratico, sotto la coltre del conformismo coatto, nel partito comunista di stretta osservanza sovietica si agitava un dibattito tra progetti politici antitetici. Tuttavia, ciò non vuol dire che qualche “brillante pensatore” non decida di lasciare il Pd. Ma si tratta di poca roba. Non sarà un terremoto, al più una scossa di assestamento. Invece dalla Leopolda un rischio di scissione sta venendo alla luce.
Riguarda la destra. Una parte, non sappiamo quanto consistente, di quella diaspora socialista che al tempo di “mani pulite” fu violentemente espunta dal proprio ambiente naturale, trovò accoglienza e protezione a destra. Il grande unificatore delle diverse componenti del “rassemblement” di idee e di uomini che fino a qualche tempo prima si erano vigorosamente combattuti, è stato Berlusconi. Lui ha rappresentato la sintesi degli inconciliabili. C’era in ballo la libertà degli italiani, vulnerata dal nuovo blocco egemonico che coagulava apparati del partito comunista, componenti politicizzate della magistratura, mezzi d’informazione, corpi dello Stato e “poteri forti” rappresentativi di interessi esterni, ed estranei, al paese. In nome di questa giusta causa le profonde differenze tra i nuovi sodali del centrodestra berlusconiano sarebbero passate in secondo piano.
Non era così. L’anima di un certo riformismo, di marca socialdemocratica, continuava a esistere, fiduciosa che, un giorno, sarebbe tornata a casa. Oggi che Renzi, senza particolari timidezze, dichiara di voler mandare in soffitta la sinistra legata ai vecchi schemi ideologici del passato marxista, scatena, in molti del centrodestra, la voglia di tentare il salto all’indietro. Questa velleità potrebbe incrociare l’analoga aspirazione degli ex democristiani, anch’essi ospitati per un ventennio dalla destra, di tornare a ricostruire, grazie a Renzi, un’area di politica interclassista, ispirata dalla filosofia del moderatismo centrista che fu della Democrazia Cristiana. Il prodromo di questo controesodo è all’origine della creazione della micro formazione del Ncd di Angelino Alfano.
Ora, bisogna capire cosa intenda fare di concreto Berlusconi. La sensazione è che lui per primo, forse perché travolto da eventi che non ha potuto controllare, non abbia le idee chiare. E sia molto combattuto sul futuro della sua creatura. La proposta lanciata da Sandro Bondi qualche mese orsono di sciogliere Forza Italia per portarla alla confluenza con un nuovo partito renziano della Nazione sembrò una follia e il povero Bondi fu coperto d’insulti. Adesso quel progetto inizia a prendere consistenza. Naturalmente è tutto legittimo. Non si possono obbligare le persone a stare dove non vogliono più stare. L’importante è che lo dicano chiaramente, lasciando agli altri la possibilità di riprendere il cammino. Perché non tutti, a destra, ambiscono a morire renziani.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:21