“Sentinelle in Piedi”,   conflitto di diritti

Le reazioni degli esponenti e dei notabili del Pd ai violenti attacchi verbali e fisici subiti dai manifestanti del movimento “Sentinelle in Piedi” sono sconcertanti. A dominare la scena è ancora una volta l’intolleranza, come collaudato vizio di fondo, mai debellato anzi tanto più vitale quanto più si alimenta di se stesso, ben radicato anche negli ambienti del Partito Democratico più riformisti. L’intolleranza la trionferà e tristemente trionfa rigettando la sinistra in una dimensione antica che risucchia quanto di riformista e falsamente liberale il Pd tenti di spacciare come suo nuovo tratto distintivo. Intolleranza, che si palesa nella diffusa, stizzita anzi livorosa irritazione con cui esponenti di sinistra hanno reagito in numerose dichiarazioni rilasciate nel web non tanto contro le aggressioni violente rivolte ad una fetta di società che esercita il suo diritto di manifestare pacificamente e civilmente contro matrimoni gay e adozioni a coppie gay, idee e contenuti che per un’altra parte di società legittimamente indifendibili. Ma perché queste minacce, sputi, calci e bestemmie e attacchi fisici hanno contribuito a dar visibilità a quella fetta di società che evidentemente dovrebbe vedersi negato il diritto di esprimere un punto di vista diverso in materia di diritti agli omosessuali.

Lunedì così Paola Concia scriveva su Twitter e sull'hashtag di Facebook #sentinelleinpiedi: “Ringraziamo sentitamente gli antagonisti di Bologna per la pubblicità gratuita e per averli (le Sentinelle in Piedi) fatti passare per delle vittime”; e sui social network si sono susseguiti i post e i tweet concentrati sul rischio che queste violenze trasformino in “trend topic” la protesta delle sentinelle in piedi. Il rischio che, dunque, udite udite, si fronteggino due diritti di segno opposto.

Qualche esponente della sinistra ha avanzato una riflessione sul fatto che l’irresistibile inclinazione a prendere le persone a botte e a calci accusandoli di odio verso i gay non può essere il miglior viatico al dialogo né la prova di trovarsi dalla parte giusta della barricata, quella che ospita chi è per l’amore ed i diritti? Non esattamente, tutt’al più la discussione che ha animato queste giornate, quando è riuscita a liberarsi dalle strettoie dell’insulto feroce nei confronti degli aderenti al movimento delle Sentinelle in Piedi, accusati di odio e omofobia o di esser liberticidi oppure, con sprezzante ironia, di avercela anche con i paraplegici, non ha nemmeno lambito l’interrogativo su cosa si qualifichi come un diritto, sul legittimità di diritti diversi come quelli che contrappongono i protagonisti delle pacifiche manifestazioni e chi li ha aggrediti. Probabilmente su questo punto sarebbe utile avviare un serio ragionamento.

Il tratto distintivo, però, di questa vicenda, sul piano delle razioni a sinistra, resta l’inquietante ossessione del popolo del Pd del web è rappresentato dal sacro terrore che questa violenza abbia spinto i media a dar spazio alla protesta silenziosa. Un impasto politico-intellettuale che testimonia inequivocabilmente la pervasiva inclinazione di aggiungere alla violenza degli attivisti un’altra violenza, quella legata alla convinzione che vi sia una scala di legittimità dei diritti secondo cui non solo sia legittimo ma debba prevalere il ‘diritto’ di escludere qualcosa dall’ambito delle legittime opinioni.

Nulla di nuovo, in realtà. La vecchia scuola comunista resiste ai maquillage. Perché sotto la patina di verniciatura con cui la sinistra renziana ha operato il proprio restyling, scippando i valori di liberalismo e libertarismo al loro alveo naturale, ciò che affiora è la storica insofferenza settaria del vetero-comunismo cui difficilmente si può impedire di tracimare in occasioni in cui a fronteggiarsi sono i cardini delle libertà individuali. Specialmente se in gioco c’è il rispetto verso chiunque esprima un’idea altra nei confronti di un sistema di valori ritenuto buono per diritto acquisito. O per decreto. O disegno di legge, magari quello di Scalfarotto (Pd) che prevede la possibilità del carcere per chi difende la famiglia tradizionale. E non ci sono pentimenti o abbracci filoliberali bertinottiani che possano giovare. Esser liberali è cosa che non si improvvisa e la sinistra, anche quella più riformista, pensante e riflessiva è tuttora intrisa di quella faziosità e “alterazione dell’onestà intellettuale” riconosciuta da Leonardo Sciascia che (ma almeno lui se ne doleva), raccontando di sé in termini di viltà, diceva: “Mi rimprovero una viltà personale... una viltà sociologica, quella di non aver osato prendere le difese di certi fascisti quando mi è sembrato che fossero accusati ingiustamente... se fossero stati rampolli della sinistra da un pezzo mi sarei dato da fare per loro, avrei sottoscritto petizioni... ma, ahimè, appartengono alla destra e allora non mi sento abbastanza sollecitato ad indagare più a fondo, anche se so che qualcosa non funziona”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:09