L’attualità politica   di Croce e Silone (II)

Si concludono con la seconda e ultima parte dell'intervento di Angiolo Bandinelli le riflessioni sul convegno “Oltre Salerno, l'attualità politica di croce e Silone”.

A Silone, quegli intellettuali preferirono sempre - paradossalmente - il Camus (che pure aveva recensito favorevolmente "Pane e Vino") ideatore di quell'inoffensivo ma affascinante mito del Prometeo, personificazione di un individualismo abbastanza narcisistico, lontano le mille miglia dalla riflessione dolorosa sul mistero della storia cristiana in Italia e nel mondo. La polemica contro i partiti sarà d'ora in poi centrale centrale nella sua fervida attività da fuoriuscito ed esule, di appassionato difensore e promotore di iniziative di cui manca ancora una storia. E nel 1958 parla, con anticipatrice precisione, proprio di "regime partitocratico" (forse, idealmente, accanto a lui c'era un altro abruzzese, Panfilo Gentile): "il vero centro del potere reale è fuori del parlamento, negli esecutivi dei partiti" e pertanto "sarebbe più esatto dire che noi viviamo in un regime di partitocrazia". Sarebbe interessante, in apposita sede, mettere a confronto la polemica siloniana e gentiliana con gli sviluppi istituzionali sviluppati e difesi da un Costantino Mortati, e la sua concezione del rapporto tra Istituzioni e partiti, ancora attualissima... Dalla polemica contro gli apparati dei partiti prende le mosse - fino alla requisitoria nel Convegno degli Amici del Mondo svoltosi nel 1959, in occasione del trentennale del Concordato - la forte polemica contro le intromissioni nella vita politica italiana della chiesa che, per Silone, esercita un decisivo controllo sul principale partito italiano, la Dc.

Il tema della chiesa e della religiosità è, per Silone, assillante: sarà un altro degli snodi essenziali della sua riflessione storico-politica. E ancora una volta il punto di partenza è il suo Abruzzo, la sua gente, il cafone. Per Silone, il cafone non deve dimenticare le sue origini, le sue radici, che per Silone non possono non essere radici cristiane. Attento alla storia della chiesa, al cammino del Vaticano II, Silone aspira a vedere una chiesa corrispondente alle attese di questo cafone, una chiesa del povero e per il povero. L'eroe della sua chiesa è Celestino V, il papa che si dimise giudicandosi inidoneo all'immane compito, ma anche sgomento e impotente dinanzi alla corruzione che vedeva circolare nella chiesa ufficiale e potente. "Vi è una storia del cristianesimo popolare italiano" osservò "che non coincide con quella della gerarchia. Poiché non si esprime sempre nei libri, anche i laici colti la ignorano. Per questo tanti si chiedono da dove sia uscito papa Giovanni, con quel suo estro e il suo stile". E poi, definitivamente, in "Uscità di sicurezza": "Presso i più sofferenti, sotto la cenere dello scetticismo, non s'è mai spenta l'antica speranza del Regno, l'antica attesa della carità che sostituisca la legge, l'antico sogno di Gioacchino da Fiore, degli Spirituali, dei Celestini". Per mera coincidenza, noi abbiamo di recente assistito ad un evento analogo, il passo indietro di Benedetto XVI. Che per Silone si possa e debba applicare la categoria del precursore?

Tra il 1950 e il 1967 operò, anche in Italia, il "Congress for cultural Freedom" ("Congresso per la libertà della cultura"). Il Congresso ebbe uffici in trentacinque paesi (alcuni extraeuropei), pubblicò una ventina di prestigiose riviste ("Tempo Presente", "Encounter", ecc.), organizzava esposizioni artistiche, conferenze internazionali di alto livello ed elargiva premi e riconoscimenti ad artisti e musicisti. Silone, insieme ad Altiero Spinelli e Guido Piovene, rappresentò l’Italia alla conferenza fondativa, tenutasi a Berlino nel 1950 e sconfessata pubblicamente da Jean-Paul Sartre ed Albert Camus che, invitati, si rifiutarono di parteciparvi. Inizialmente, fra i presidenti onorari del Congresso, accanto a Bertrand Russell troviamo l'ottantenne Benedetto Croce.

La sezione italiana del Congresso, l'Associazione italiana per la libertà della cultura, fu costituita da Ignazio Silone alla fine del 1951 e divenne il centro propulsivo, anche e soprattutto sotto il profilo logistico ed economico, di una federazione di circa cento gruppi culturali quali l’Unione Goliardica nelle università, il Movimento Federalista Europeo di Altiero Spinelli, i Centri di Azione democratica, il movimento Comunità di Adriano Olivetti e vari altri. Pubblicava la prestigiosa rivista “Tempo Presente” diretta dallo stesso Silone e da Nicola Chiaromonte. Nel suo gruppo dirigente, accanto a laici come Adriano Olivetti e Mario Pannunzio, figurava anche Ferruccio Parri, il padre della sinistra indipendente, uomini politici di estrazione azionista e liberaldemocratica come Ugo La Malfa. Si è fatta molta ignobile polemica, da sinistra, sul fatto che queste iniziative fossero finanziate, più o meno copertamente, dal governo americano e addirittura dai servizi segreti della Cia. A parte il fatto che quello stesso Governo americano stava consentendo all'Europa di sopravvivere e riprendersi dal collasso bellico grazie agli aiuti del Piano Marshall, occorre anche tener ben presente che - come ho accennato - l'intera o quasi intellettualità europea, a partire da Sartre, guardava all'URSS come al faro della democrazia contro l'imperialismo statunitense. L'aver radunato e finanziato, sotto solide istituzioni, quegli intellettuali che invece l'Urss la combattevano, fu un incalcolabile merito dell'America. Basti pensare che ancora oggi si analizza un fenomeno di vastissima portata nella storia del dopoguerra, che vide la cultura e i suoi intellettuali disegnare e imporre un profilo culturale dell'Italia del tutto plasmato sulla linea politica togliattiana. E' la linea che ancora oggi ostracizza, per dire, uno Sciascia...

E' comprensibile che, nel gran dibattito postbellico tra gli intellettuali europei più o meno engagés, Silone non faccia una figura spendibile. Il dibattito è tra i Camus e i Sartre, o magari gli Horkheimer e gli Adorno, una fioritura di altissimi ingegni, però tutti - come oggi verifichiamo - sconfitti e dimenticati. In lontananza, per uno strano gioco del destino, riappare la figura di Celestino, con il suo atto di rinuncia che ci ritorna nel ritiro di Benedetto XVI. Con tutte le differenze possibili, nei due gesti c'è il richiamo, o la nostalgia, per un cristianesimo "diverso", lontano dalle pompe, dagli interrogativi per i teologi, comunque sconfitti dall'assodante silenzio della società civile o dalla corruzione che si cela sotto i loro paramenti. L"antiquato", il "superato" Silone si pone oggi come centrale interprete del clima di papa Francesco.

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Nal momento culminante dell'espansione delle dittature europee, Croce elaborò una sua risposta antagonista, di stampo liberale. Diciamolo subito: Croce non era, come Silone, un militante. La sua fu la risposta - nell'immediato - di un perdente, di uno che, nella morsa delle dittature, non riusciva a vedere alcuna ipotesi, alcuna via di liberaione: assisteva al dramma del sconfitta politica delle democrazia e della libertà. Così approdò alla sua splendida intuizione della "religione della libertà". La religione della libertà si pone in un tempo metastorico, dacché il tempo storico non offre più speranza. Croce qui ritorna quasi ad essere hegeliano: affida al processo della storia dello spirito quella vittoria che la storia evenementielle gli negava. Vale a dire: per quanto possa essere sconfitto nel qui e nell'oggi, lo spirito è destinato alla vittoria, nella metastoria come religione laica se non come politica. La sua "religione della libertà" fu il prestigioso valore ideale che Croce contrappose alla dittatura. Qualcuno ha parlato di formula "mistica", "astratta" e dunque impotente nei confronti del fascismo e della sua "concretezza" reazionaria e fattuale. Si è anche detto che la formula "riusciva a indebolire le opposizioni, non serviva ad individuare le forze vive di aggregazione democratica", e in definitiva era rivolta al "passato della vecchia Italia liberale e monarchica". Dai miei ricordi emerge una ben diversa percezione dell'importanza che ebbe, in quegli anni bui, la luce proveniente da quei testi, da quella "formula": che a mio (modesto) avviso resta la più essenziale espressione di quella che deve essere un'etica laica e liberale. Perché in definitiva lo spirito - come si dice - spira dove vuole, e lo spirito è la norma dell'etica della responsabilità:

":... La concezione della storia come storia della libertà aveva suo necessario completamento pratico la libertà stessa come ideale morale ideale che, infatti, era concresciuto con tutto il pensiero e il moto della civiltà, ed era passato nei tempi moderni dalla libertà come complesso di privilegi alla libertà come Diritto di Natura, e da questo astratto diritto naturale alla libertà spirituale della personalità storicamente concreta; e si era fatto via via più coerente e saldo, avvalorato dalla corrispondente filosofia, per la quale quella stessa che è legge dell'essere è legge del dover essere (Da "Storia d'Europa nel Secolo Decimonono", 1932 capitolo I). In questa prospettiva, in Teoria e storia della storiografia (1927), Croce definisce il concetto di “storia etico-politica”, la quale “s’indirizza agli uomini di coscienza, intenti al loro perfezionamento morale, che è inseparabile dal perfezionamento dell’umanità”.

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Finisce qui la mia breve ricostruzione della vita e delle opere di questi due personaggi. Non so se sarà utile ai fini di questo convegno. Non vorrei che alla fine ci trovassimo a registrare solo una sequenza di interventi celebratori di Silone e Croce, per eleggerli a testimoni del tempo, per invocarne le esimie qualità culturali o morali, ecc. Credo di aver per parte mia tentato di avviare un discorso relativo alle vicende dell'intellettuale del novecento. Anche per me quella figura è bene, come tale, che sia scomparsa.

Ma l'interrogativo che mi viene assillante davanti è quel contesto, in cui i due vissero, di una Europa senza più democrazia. Mi inquieta la domanda se per caso noi non stiamo vivendo un'epoca analoga. Le lamentele sul "deficit di democrazia" delle istituzioni europee sono infinite, così come sono infiniti gli allarmi sulla generale crisi "della e delle democrazie" nel mondo. E mi angoscia vedere come in Italia si cerca di affrontare la crisi del paese senza fare il minimo riferimento al funzionamento (o meglio alle drammatiche disfunzioni) delle istituzioni. Ci si accanisce contro la"casta", ma non si scalfisce nemmeno la partitocrazia: anche se invece di partiti abbiamo oggi cosche, mafie, correnti, clan o come vorete chiamarli. Di fronte alla crisi della democrazia che li circondava, Croce e Silone cercarono una "uscita di sicurezza" che affondasse nel cuore del dramma del loro tempo. Silone attraverso una militanza di isolato che cerca sempre di cogliere gli strumenti e le occasioni che via via gli si offrono: Benedetto Croce volando altissimo sul contingente per arrivare a darci la piìù vigorosa espressione dell'eticità della vita civile. Penso che tutto sommato sarebbe bello se il nostro convegno di ponesse analoghe questioni, domande, suggestioni; e cercasse di dare loro una risposta valida anche per noi, per il nostro tempo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:12