
C’è grande soddisfazione, nella compagine renziana, per il fatto che la riforma del Senato sia a un passo dal traguardo. Sembra che, a parafrasare il titolo di un noto film di alcuni anni fa, siano diventati “tutti pazzi” per il monocameralismo.
Ma a costo di apparire i soliti guastafeste, ci poniamo una domanda: siamo proprio certi che l’immobilismo nel quale è rimasta impantanata la “seconda Repubblica”, molto più di quanto non lo fu la “prima”- che pure conobbe una stagione di grandi riforme - sia dovuto all’esistenza del bicameralismo perfetto? Ora, la riforma di cui si sta discutendo, con la benedizione di quasi tutti gli attori in campo, assume a postulato della proposta di abolizione delle funzioni attualmente attribuite al Senato l’esigenza di consentire, mediante il monocameralismo, maggiore efficienza, in termini di tempo e di economia di spesa, al processo di creazione delle leggi.
Così posta, la questione non potrebbe che raccogliere unanimi consensi se non fosse per il fatto che sia discutibile la premessa su cui fonda la riforma stessa: dov’è scritto che sinonimo di efficienza sia produrre più leggi? Al contrario, se si potesse diagnosticare un male che causa la paralisi del Paese questo sarebbe proprio la superfetazione legislativa. Il nostro è uno Stato che rischia di perire, soffocato dalle troppe norme. Neanche i massimi esperti possono indicare con esattezza il numero delle leggi vigenti in Italia. Indubbiamente il paradosso in cui versa il sistema giuridico italiano è causato da un consolidato “policentrismo normativo” che ha visto aumentarne, e non diminuirne, i centri di produzione. Sull’argomento la classe politica ha offerto il peggio di sé. L’immediata conseguenza di questa situazione rinvia allo strapotere che la burocrazia ha consolidato nel tempo.
Allo Stato, dunque, si conferma profondamente errato il comportamento di quanti, aggregati al movimento dei moralisti della prima e dell’ultima ora, pongano l’accento sull’inefficienza della classe politica che, a loro dire, sarebbe pigra, oltre che corrotta. L’indicatore della negatività etica dei politici sarebbe stato individuato nello scarso volume di atti prodotti rispetto a quelli che l’opinione pubblica avrebbe atteso. Secondo questa bizzarra corrente di pensiero, sostenuta da inchieste giornalistiche a sfondo scandalistico e da fortunati pamphlet che hanno fatto la ricchezza di autori ed editori, pur di giustificare il pagamento dei lauti stipendi ai politici, si dovrebbe pretendere che costoro legiferino ad libitum (a discrezione). In tal modo, però, si continua a danneggiare il Paese, anziché aiutarlo. La verità è che in questo momento servirebbe un’iniziativa di “profilassi normativa” di segno diametralmente opposto a quello invocato dai censori di turno. Piuttosto che una fase costituente, oggi al potere legislativo occorrerebbe un anno sabbatico.
E’ necessario un riordino sostanziale dell’ordinamento giuridico poiché le disposizioni che regolano singole materie sono sparse all’interno di un gran numero di leggi. A volerle individuare bisognerebbe inventarsi una caccia al tesoro. Sarebbe, quindi, più salutare concedersi un periodo di parziale destrutturazione dell’ordinamento e di deregolazione normativa, al fine di rendere più snello ed efficace il rapporto tra il cittadino, in particolare il cittadino-imprenditore, e lo Stato-apparato. In concreto, solo un effettivo periodo speso a disboscare la giungla delle troppe leggi potrebbe tradursi in un colpo decisivo allo strapotere di quella burocrazia che fonda la sua forza proprio sulla vastità invasiva, sovente contraddittoria e oscura, dell’impianto normativo-regolamentare della Pubblica amministrazione. Dunque, se qualcuno dovesse sfidarci nel porre l’alternativa vorresti una filiera più corta nell’iter di formazione delle leggi così che velocizzandone l’approvazione se ne avranno di più, o preferiresti concedere maggiore tempo al legislatore per riordinare un minor numero di leggi, in compenso più qualitative e performanti, cosa bisognerebbe scegliere?
Ogni persona di buon senso dovrebbe optare per la seconda tesi, respingendo al mittente la prima come deleteria per l’ordinato sviluppo democratico di una società fondata sullo Stato di diritto e sulla separazione dei poteri. E nessuno con un po’ di sale in zucca starebbe lì ad accusare i politici di essere dei lavativi per non aver rincarato la dose dei divieti e dei comandi.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:01