
Il dato più rilevante che queste ultime elezioni ci consegnano riguarda il centrosinistra. Oggi abbiamo la conferma di ciò che avevamo intuito da qualche tempo. A vincere non è il Partito Democratico, ma Matteo Renzi. Cosa vuol dire? Che per quanti sforzi facciano di mostrarsi disuniti, i vecchi e i nuovi compagni della sinistra rifatta al lifting, sono e restano facce ritoccate della stessa medaglia che casca sempre dal lato che fa più comodo. Oggi la moneta in corso reca l’effigie di Renzi. Ne è prova regina la vicenda dei recenti scandali. Non sono pochi i dirigenti del Pd ad avere fatto sistema, per mazzette e favori ricevuti a piene mani, con imprenditori compiacenti. Qualcuno ha ipotizzato che la notizia avrebbe avuto una diretta ricaduta sugli esiti elettorali. Invece, è stato vero l’esatto contrario.
Con una capacità straordinaria di manipolazione dei mezzi d’informazione, oltremodo compiacenti, l’immagine che è passata è stata quella di un leader, Renzi, vittima e non responsabile di un malaffare antico, legato alla nomenklatura del partito asfaltata di recente. “Lui non c’entra”, si sono ripetuti come un mantra gli elettori prima di imbucare la scheda nell’urna. Appena cinque mesi di guida del partito e l’agiografia di palazzo lo spaccia per figlio naturale di una palingenesi. Una balla colossale che, però, funziona tanto da fare impallidire perfino le più fantasiose “narrazioni” del pugliese Nichi Vendola. Si dirà: ci sono le tre sconfitte che bruciano. Perdere in un colpo solo Padova, la rossa Perugia e la rossissima Livorno non è cosa su cui scherzare. Infatti! Le perdite hanno riguardato quelle realtà territoriali che meno di altre hanno accettato la conversione al renzismo. Quindi? L’eccezione che conferma la regola. Siamo alla fantascienza. I virgulti del vecchio apparato dell’ex Pci, innervato dalla confluenza di settori significativi della corrente dossettiana presente nella trapassata Democrazia Cristiana, l’hanno fatta da padroni, negli anni della Seconda Repubblica. Hanno gestito la macchina dello Stato, in particolare nel governo dei territori, con mano di ferro, dimenticando in casi come quello di Bassolino in Campania, d’indossare il guanto di velluto. Più che amministrato, hanno dominato. E se il centrodestra ha conteso loro la guida del Governo, essi, grazie a un ramificato sistema di penetrazione nella Pubblica Amministrazione, hanno detenuto in modo continuativo il potere per l’intero tempo degli ultimi vent’anni. Tutte le casematte sono state occupate con intelligenza strategica perché l’egemonia della sinistra si consolidasse nella coscienza profonda del Paese. Come sarebbero altrimenti spiegabili i tanti muri di gomma contro cui Berlusconi, nonostante il consenso elettorale raccolto, è andato puntualmente a sbattere nel corso della sua vicenda politica? A cominciare dall’ultimo in ordine di tempo ma, alla prova dei fatti, il più respingente di tutti: quello ben sistemato sul colle più alto, il Quirinale.
Eppure, con una storia fatta anche di abusi, malefatte e arroganza, che meriterebbe di essere riscritta non dagli storici ma da motivate commissioni d’inchiesta, arriva il “Fonzie di Ponte Vecchio” e, facendo la parte dell’indignato, ci viene a dire che quello che sta emergendo riguarda altri, non il “suo” partito. Il passato non gli appartiene, quindi non è tenuto a darne conto. La cosa incredibile è che se la sono bevuta tutti questa scemenza. E succede anche che il simpatico Cattaneo, un bravo figlio che da sindaco a Pavia ha fatto del suo meglio, va in tivù a fare autocritica giustificando la surreale sconfitta patita con l’onda lunga del malaffare che si sarebbe abbattuta anche sulla sua candidatura, determinandone il fallimento a dispetto dei buoni risultati prodotti nell’amministrazione della città.
Altro che un film di Almodovar. Qui è andato in scena il teatro beckettiano dell’assurdo. A destra c’è un giovane che si scusa per ciò che non ha fatto, mentre a sinistra cammina sulle acque un personaggio dalla memoria corta. E pensare che nelle fila del centrodestra c’è pure qualcuno che quando vede Renzi lo applaude e gli strizza l’occhio. Ma si può essere più fessi di così?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:15