La vittoria tarocca   di Alfano e Ncd

Il voto delle Europee ha reso evidente all’opinione pubblica ciò che la “politica” aveva compreso da un pezzo: la crisi strutturale del centrodestra. È giusto dunque che ci si interroghi sulle cause che hanno determinato la fine di un ciclo importante della storia della metà del campo che si oppone all’altra, occupata dalla sinistra. Il ragionamento, in questo genere di cose, è sempre il benvenuto. Ciò che invece andrebbe evitato perché nocivo è il pietoso spettacolo da fiera delle vanità che i beneficiati dalla politica “politicante” hanno messo su in queste ore con l’evidente scopo di salvare se stessi, buttando la croce della disfatta sulle spalle altrui. Niente di nuovo sotto l’italico cielo, abituato com’è ad assistere alle acrobazie di quanti, lanciandosi nel vuoto delle proprie idee riescono sempre, in un modo o nell’altro, a cadere in piedi.

A chi intendiamo riferirci? Presto detto. Non è mai elegante fare nomi. Meglio limitarsi ai cognomi: Alfano, Cicchitto, Schifani, Quagliariello, Formigoni e gli altri della Nuova compagnia del centrodestra. Stiamo assistendo a un balletto di dichiarazioni a dir poco deliranti, rilasciate dai dirigenti della microformazione satellite del Partito democratico. In primo luogo, colpisce il tono trionfalistico del segretario di Ncd che vorrebbe spacciare come successo un’ incontrovertibile sconfitta. Dati alla mano, il raggiungimento del quorum per accedere al Parlamento europeo è stato frutto di un assemblaggio tra due realtà politiche, il Nuovo centro-destra e l’Udc di Casini e di De Mita, che, nella realtà quotidiana, restano due mondi distinti e distanti della politica italiana. Dal computo generale di 1.199.703 preferenze ottenute devono essere scorporati i voti ottenuti dal partito centrista, che ha conservato un suo elettorato fortemente fidelizzato. La comparazione con le precedenti tornate elettorali fa presumere che l’apporto del secondo partner della “joint venture” sia quantificabile in circa il 50% del consenso ottenuto. Ciò riduce l’impatto della nuova proposta di Alfano a un irrilevante stock di 600mila voti. Quindi, il voto al Ncd è stato un voto taroccato. Se Ncd è ancora in gioco, è grazie a Casini e… a De Mita.

Tuttavia, la situazione del partito nato da un voltafaccia a Silvio Berlusconi è molto più grave di quanto appaia. Vediamo perché. Nelle ultime elezioni politiche del 2013, vi era stato un caso di gemmazione dal Popolo delle Libertà di un drappello di alcuni parlamentari che avevano dato vita al movimento Fratelli d’Italia. Nonostante le ridotte dimensioni la nuova formazione ha conquistato ben 9 seggi alla Camera dei deputati, per effetto dei 666.035 voti ottenuti. Gli stessi numeri messi insieme dal Nuovo Centrodestra domenica scorsa. Piccolo particolare: la compagine del Ncd partiva da una forza parlamentare di 61 membri tra Camera e Senato e 85 consiglieri regionali. Inoltre, il partito di Alfano ha potuto contare su 7 europarlamentari uscenti e sulla presenza al Governo di tre suoi esponenti in ruoli di primo piano. Alla fine della fiera questo ben di dio di apparato politico ha arrancato nel tenere una media di 3.922 voti per ogni rappresentante presente nelle massime istituzioni nazionali e regionali. Francamente, un semplice candidato a una municipalità di una qualsiasi città italiana avrebbe saputo fare di meglio.

La realtà è che il Nuovo Centrodestra si conferma per quello che è “in natura”: un’aggregazione di potere totalmente priva di una prospettiva strategica credibile. Praticamente un “Avatar” di un soggetto politico moderato a vocazione riformista. Gli italiani, però, non essendo così avanti nell’utilizzo delle nuove tecnologie, preferiscono ancora affidarsi all’originale, in carne ed ossa, piuttosto che rischiare con un ologramma. Se avessero desiderato dare fiducia al Governo Renzi, perché sostenerlo per vie traverse e non, invece, votarlo direttamente? Ancora una volta gli elettori hanno dimostrato di essere meno stupidi di quanto li facciano i nostri politici, loro sì davvero stupidi. Il risultato conseguito da Matteo Renzi è sotto gli occhi di tutti e non necessita di sofisticate letture interpretative: il pieno al Pd e asfaltati gli alleati.

Nel fallimento alfaniano ha giocato un ruolo lo scarso o nullo legame della maggior parte dei suoi dirigenti con i territori di provenienza anagrafica. Molti di loro si sono rivelati essere soltanto dei fenomeni mediatici sprovvisti della capacità di proiezione nelle realtà vive del Paese. Ancora una volta a parlare sono i numeri. Si prenda, ad esempio, il caso della ex ministra Nunzia De Girolamo. Nonostante l’esperienza fatta alla guida del dicastero dell’Agricoltura nel Governo Letta, la combattiva deputata, nella marca beneventana da cui proviene, ha avuto un raccolto molto magro per il suo partito. Gli 8.718 voti per il Ncd sono stati superati di slancio dai 36.422 ottenuti da Forza Italia che aveva in campo, in gran spolvero, il conterraneo Clemente Mastella. Si tenga conto che nello stock di preferenze a Ncd devono essere considerati anche i voti ottenuti dal vecchio leone De Mita il quale, in zona, mantiene ancora un nutrito presidio di suoi fedelissimi. Un altro esempio. Nel comune di Roma, il Nuovo Centrodestra ha racimolato 69.326 preferenze. Ma come? Nella patria della “Meg Ryan all’amatriciana”, a cui la fedeltà al suo mentore Alfano ha portato in dono la poltrona di ministro della Salute, nella stessa città di un capo indiscusso del Fronte della Gioventù degli anni Ottanta, qual è stato Andrea Augello e di una navigata manager della tempra di Barbara Saltamartini, Ncd si fa bagnare il naso anche da Fratelli d’Italia della Meloni, che raccoglie 98.017 preferenze. Un cappotto, considerando il calibro dei contendenti.

Fuori dalla polemica sterile, dunque, la valutazione sul peso effettivo del Nuovo Centrodestra rileva, nella nostra analisi, esclusivamente per il fatto che in Forza Italia, frastornata dalla batosta elettorale, è in atto una sarabanda di prese di posizioni e di proposte che andrebbero meglio meditate. La ricerca affannosa di una riaggregazione del centrodestra non deve indurre a commettere errori irrimediabili. Si prenda atto che la volontà popolare ha certificato l’inconsistenza dell’esperimento Ncd. È stato valutato per quello che è: un contenitore vuoto, appesantito da una classe dirigente che non ha ragion d’essere visti i risultati conseguiti. Pensare allora a un ricongiungimento verticistico è un’ipotesi perdente. La ricostituzione di un blocco sociale affidabile, che faccia da sostegno a una nuova stagione della destra italiana, necessita di una proposta politica coerente con le linee di fondo della cultura e dei modelli socio-economici di riferimento tradizionale della destra. Imbarcare l’apparato di potere della nuova formazione sarebbe come zavorrare oltre misura un vascello per farlo calare sotto la linea di galleggiamento. La riaggregazione deve avvenire dal basso verso l’alto di modo che sia il potenziale bacino del consenso a esprimersi sulla rotta da scegliere e sui porti di destinazione a cui attraccare.

In Italia, nonostante l’ultima debacle, c’è bisogno ancora di una destra che sappia fare la sua parte. Recuperare i pesi morti è un’opera di carità che attiene alle virtù teologali. Lasciamo che se ne occupino altri. Magari coloro che sono in odore di santità. La politica vera, quella che fa le cose e cambia i destini delle persone, che sa incidere nella carne viva di una società anche in modo doloroso e cruento, è altra cosa. Non è fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni. È…“sangue e merda”, come era solito ripetere il mitico Rino Formica.

La destra, dunque, ha una sola strada segnata nel suo destino: deve tornare a vivere nel cuore della gente, a monte dei suoi affanni, a valle delle sue speranze.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:05