Ceto medio, la storia di Rachele e Salvatore

La ricerca dei moderati sta diventando affare serio. Ammettiamo che un po’ questa caccia ci appassiona. Andiamo in giro a domandare, come Diogene di Sinope, muniti di una lanterna giacché, sulle orme del grande cinico, proviamo a scoprire l’uomo “del ceto medio”, ovunque esso si celi. Oggi tocca di sottrarre al novero dei votanti del centrodestra altri due validi supporter i quali, in passato, non hanno fatto mancare il loro consenso a Silvio Berlusconi. Si chiamano Rachele e Salvatore, da due anni sono sposati e fino a qualche mese fa hanno vissuto nel loro paesino d’origine. Una comunità di mille anime, annidata su una sponda del vallo naturale che separa Avellino da Napoli. Rachele e Salvatore il 25 maggio diserteranno le urne perché saranno altrove. Il loro “altrove” si chiama Germania e ha il volto del futuro.

Cari lettori, è bene che li conosciate questi due italiani coraggiosi. Ciò che fa scandalo della loro storia è l’ordinarietà della storia stessa. 29 anni lei, 38 lui. Entrambi hanno studiato fino a conseguire un diploma di scuola superiore. Quello del Liceo artistico lei, geometra lui. Alla faccia di tutti quei professoroni che straparlano senza sapere cosa dire, loro “bamboccioni” non lo sono stati mai, neanche un minuto. Rachele, dopo aver terminato gli studi ha compreso che l’Università non era nel suo orizzonte e allora si è data da fare per aggiungere altri titoli al curriculum. Prima un diploma all’istituto alberghiero e poi una qualifica professionale da operatore socio-sanitario.

Salvatore, invece, sembrava più fortunato perché, con il diploma in tasca, ha incrociato la stagione dei grandi investimenti in Irpinia. Come si sa il terremoto, e una politica demitiana da mano di ferro in guanto di velluto avevano portato fiumi di denaro a irrorare la vallata. Nella periferia del capoluogo irpino erano sorte fabbriche grazie alle quali la più arretrata provincia d’Italia conosceva il suo miracolo economico. Salvatore di quel miracolo ha fatto parte, entrando giovanissimo in una fabbrica metalmeccanica. Avrebbe potuto ambire a fare il quadro, ma si è dovuto accontentare di un posto da operaio specializzato. Andava comunque bene. Con lo stipendio non doveva certo sopravvivere essendo perfettamente integrato in una famiglia benestante della piccola borghesia, con un capofamiglia artigiano. I soldi sarebbero serviti per il suo futuro coniugale. Rachele ha pensato allo stesso modo: lanciarsi a fare di tutto. Per otto anni è stata maestra in un asilo parificato. Le davano, per un impegno giornaliero di sei ore, 300 euro al mese. Una cifra. Poi, hanno fatto di meglio i titolari di una casa-famiglia che l’hanno tenuta al lavoro corrispondendole ben 200 euro mensili. Grazie alle domande d’impiego presentate in tutta Italia, Rachele è riuscita a fare un’esperienza lavorativa durata un anno nelle Poste, con un contratto a tempo determinato. L’hanno spedita presso un’agenzia a Bassano del Grappa, nel profondo Nord-est. Lei si è catapultata senza battere ciglio. E sarebbe rimasta lì se solo le Poste Italiane l’avessero presa in considerazione per il buon lavoro svolto. Ma la legge è legge, scaduto il contratto: a casa.

Con il rientro, il matrimonio. La stabilità lavorativa di Salvatore consentiva di progettare il futuro insieme. La casa di proprietà, donata dai genitori di lei. Il padre di Rachele, pensionato con un passato nell’Aeronautica Militare e un presente da “cacciatore” di funghi dopo aver per tanti anni aiutato i piloti della nostra “caccia” a prendere il volo e a ritrovare la strada di casa dopo le missioni in cielo. Tutto bene, dunque, fino al momento in cui l’azienda dove lavora Salvatore, con l’ultimo assetto societario, decide che 150 operai sono troppi. Salvatore è tra i più giovani, non ha ancora figli, quindi è un elemento sacrificabile. Dopo un po’ di mesi in cassa integrazione arriva la notizia del licenziamento. Decide di far buon viso a cattivo gioco, comprende che non c’è molto da inventarsi per impedire il peggio. Accetta l’incentivo per la buonauscita e, dopo 15 anni di onorato servizio, toglie il disturbo senza tanti drammi. Davanti ai due giovani si spalanca il baratro della disoccupazione e della perdita di reddito. Ma anche il destino più feroce deve fare i conti con la faccetta simpatica, solare di Rachele, una che si tuffa senza farsi troppi problemi, senza stare a pensare se l’acqua è fredda o se c’è abbastanza fondo. Diciamolo: è una che ha coraggio. Poche settimane, qualche telefonata in giro ad amici e parenti per avere delle coordinate precise e la decisione è presa: si va in Germania. Destinazione Stoccarda. Per loro nessun trauma. Sono abituati a viaggiare. Nella vita di coppia lo hanno sempre fatto.

I loro risparmi sono serviti per conoscere il mondo, dalla Polinesia agli States, dalla Croazia, alla Francia, alla Svezia, all’Irlanda. Lo shock è tutto per i parenti. Non per loro. Il tempo di fare le valigie, caricarle sull’Audi 3 e via. Dodici ore e sei nel nuovo mondo. Nel giro di poche settimane, Rachele ha trovato posto in una gelateria. Nel frattempo, grazie a quell’attestato di O.S.S., l’hanno convocata per una prova da infermiere nell’ospedale cittadino. Nove giorni ed è arrivata l’offerta di lavoro. Potrà prestare servizio in ospedale con una paga di circa 2000 euro al mese. La cosa più sconvolgente è che quei giorni di prova glieli hanno pagati, e subito. Oggi Rachele è combattuta tra l’idea di continuare l’esperienza in gelateria che le piace tanto o, invece, optare per il contratto da ospedaliero. Salvatore, visto il suo curriculum da metalmeccanico specializzato, è richiestissimo. Unica condizione propedeutica all’assunzione: deve imparare il tedesco, almeno il linguaggio di base. Quando avrà terminato il corso, lo attendono al lavoro.

Abbiamo incontrato Rachele che, in questi giorni, è rientrata in Italia per le vacanze pasquali. Le abbiamo posto una domanda secca: torneresti indietro? Risposta: “Neanche per idea”. Il futuro per questi due coraggiosi ragazzi è scritto e non parla italiano. Li attendono molti sacrifici nella nuova vita, ma sanno che per loro può esserci un progetto per l’avvenire. Qui in Italia erano giunti alla consapevolezza che di là da ogni sforzo o sacrificio individuale e familiare ciò che, alla fine dei conti, restava sempre drammaticamente mancante era la prospettiva. Noi che di contumelie alla Merkel e al sistema tedesco ne abbiamo dette tante, oggi dobbiamo toglierci il cappello davanti all’entusiasmo di Rachele che, forse inconsapevolmente, è divenuta la più fedele “testimonial” della signora cancelliera. Non perde occasione di dire a tutte le sue amiche di avere coraggio, fare le valigie e andarsene perché: “Qui per noi non c’è niente”. Anche la storia che altrove la vita costi cara, grazie a Rachele, si è rivelata una leggenda metropolitana. Lì hanno trovato casa, 60 metri quadrati, a 360 euro mensili. Come dicono i tedeschi “casa calda”, cioè nel prezzo di locazione è compreso il riscaldamento e l’acqua per i sanitari. Con 300 euro assicuri l’autovettura tutto l’anno, mentre per la tassa di circolazione te la cavi con 30 euro. Le autostrade sono gratuite e i prodotti alimentari italiani sugli scaffali dei negozi di Stoccarda costano meno che in Italia. Ci dice Rachele che la pasta “Barilla”, da 500 grammi al pacco, lì la trovi a 55 centesimi. Miracoli della globalizzazione? No! La verità è che se qualcuno decidesse di fare un controllo antidoping all’economia italiana, come sistema Paese saremmo squalificati da tutte le competizioni perché il nostro mercato è drogato. Da noi costa tutto e sempre di più, crisi o non crisi. Da noi le filiere produttive sono vie lattee che si perdono nel buio cosmico. Certo è che la pletora di esperti che ciancia di astruse fesserie da usurati salotti televisivi non ha saputo, o voluto, spiegare questo immondo fenomeno.

La realtà è che Rachele e Salvatore sono andati via e non hanno intenzione di fare marcia indietro. Hanno abbandonato l’Italia. Ci poniamo allora la domanda: “se tanti, seguendo l’esempio di Rachele e di Salvatore, tolgono il disturbo e se vanno, qui chi resta? Per quanto tempo i “garantiti” continueranno ad essere tali se non ci saranno più forze nuove pronte, con il proprio lavoro, a sopportare il peso della pachidermica macchina pubblica italiana? Tempo fa fece scandalo l’uscita, in verità infelice, di Padoa Schioppa che disse: “pagare le tasse è bello”. La maggioranza degli italiani se lo sarebbe mangiato vivo, l’economista con la testa tra le nuvole di Bruxelles. Il centrodestra inveì per la provocazione. Non aveva torto. Eppure se oggi qualcuno dicesse le stesse cose potrebbe essere accolto con diversa benevolenza a patto, però, di una sostanziale aggiunta: “Pagare le tasse è bello… ma in Germania”. Siamo terrorizzati all’idea che la nostra “caccia al moderato” ci conduca in giro per il mondo, dappertutto fuorché dove un tempo sarebbe stato naturale trovarlo: in Italia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:12