La fenomenologia del femminicidio (3)

Il femminicidio acclara il fallimento delle autorità dello Stato nella protezione di donne vittime di partner ed ex partner. Nel fenomeno del femminicidio che cosa accomuna tutte le donne? Secondo la criminologa statunitense Diana Russell, il fatto di essere state uccise “in quanto donne”. La loro colpa è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna imposto dalla tradizione (la donna obbediente, brava madre e moglie, la “Madonna”, o la donna sessualmente disponibile, “Eva” la tentatrice), di essersi prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite, di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre, partner, compagno o amante. Per la loro autodeterminazione, sono state punite con la morte.

Chi ha deciso la loro condanna a morte? Il singolo uomo che si è incaricato di punirle o controllarle e possederle nel solo modo che gli era possibile, uccidendole, ma anche la società non è sollevata da colpe. Diana Russell sostiene che “tutte le società patriarcali hanno usato e continuano a usare il femminicidio come forma di punizione e controllo sociale sulle donne”. Femminicidio è “la forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine come i maltrattamenti, la violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale… che comportano l’impunità delle condotte poste in essere sia a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, sempre più spesso finiscono con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, oppure in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incendi, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e alla esclusione dello sviluppo e della democrazia”.

Un dato che ci accomuna agli altri Paesi europei: le ricerche criminologiche dimostrano che su 10 femminicidi, 7/8 sono in media preceduti da altre forme di violenza nelle relazioni di intimità. “L’uccisione della donna non è che l’atto ultimo di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico o fisico. Tutto questo denota un fallimento delle autorità dello Stato nel proteggere adeguatamente le donne vittime dei loro partner o ex partner”.

La legge che non protegge e non punisce

Il fenomeno del femminicidio è quindi un fenomeno in continua ascesa sia in Italia che in altri Paesi del mondo, ma purtroppo non ha leggi sufficienti che possano prevenire né quantomeno punire tale reato. In Italia vige ancora una cultura maschilista e a volte patriarcale, in particolare nell’Italia del sud e la donna, in molti casi, è considerata la regina della casa e del focolare (più dedita alla famiglia che ad un ruolo di tipo sociale nel mondo lavorativo). Il modo dell’uomo di pensare è ancora alquanto antico e si tramanda da maschio a maschio: cambiare il concetto di donna è difficoltoso e a volte impensabile.

La proposta di legge introduce l’ergastolo

Poco tempo fa in Argentina è stata approvata una legge che introduce il neologismo di “femminicidio” come aggravante punita con l’ergastolo. Le parlamentari di Fli e Pdl hanno proposto di introdurre le aggravanti quando una persona viene uccisa in base al genere di appartenenza. Nel nostro Paese l’anno scorso sono state uccise più di 120 donne; ogni due giorni una donna muore tra le mura domestiche o nelle relazioni sentimentali con l’altro sesso. La famiglia è diventata il luogo più pericoloso per le donne italiane e la violenza domestica è in crescita. Tutto ciò dipende da una reazione maschile ad mutamento sociale del ruolo delle donne. Questo avviene tanto quanto le donne rivendicano autonomia. Infatti, un femminicidio su due avviene quando una donna decide di separarsi da un uomo spesso violento. Ma le cause che contribuiscono al femminicidio non risiedono solo nella non accettazione dell’autonomia femminile, ma anche dalla carenza di fattori sociali che aiutano le donne a sottrarsi da relazioni violente: dipendenza economica dal marito, chiusura di centri antiviolenza, leggi non applicate, ideologie maschiliste e soprattutto mancanza di programmi di prevenzione del fenomeno.

Conclusioni (e riflessioni)

Il blog di apologetica cattolica “Pontifex Roma” pubblica (verso fine dicembre 2012), un articolo a firma di Bruno Volpe, autore dell’editoriale e direttore del sito, dove si evince che per molti… sono ancora le donne a provocare gli istinti peggiori e che riporta quanto segue: “Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti e che il cervello sia partito? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti. Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici e da portare in lavanderia, eccetera... Dunque, se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (forma di violenza da condannare e punire con fermezza), spesso le responsabilità sono condivise. Quante volte vediamo ragazze e anche signore mature circolare per la strada in vestiti provocanti e succinti? Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre, nei cinema, eccetera? Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e se poi si arriva anche alla violenza o all’abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni), facciano un sano esame di coscienza: “forse questo ce lo siamo cercate anche noi”? Basterebbe, per esempio, proibire o limitare ai negozi di lingerie femminile di esporre la loro mercanzia per la via pubblica per attutire certi impulsi; proibire l’immonda pornografia; proibire gli spot televisivi erotici, anche nel primo pomeriggio. Ma questa società malata di pornografia ed esibizionismo, davanti al commercio, proprio non ne vuol sapere: così le donne diventano libertine e gli uomini, già esauriti, talvolta esagerano”.

Siamo nel 2014 e dopo dure lotte per i diritti delle donne e dell’uguaglianza tra uomini e donne, si leggono ancora articoli del genere colpevolizzanti nei confronti delle donne e discolpanti a beneficio degli uomini. Ogni donna ha diritto di gestire la propria vita in modo ad essa più congruo e ad abbigliarsi nello stile ad essa più consono. L’autocritica dovrebbe venire dall’uomo che, se turbato dalla condotta della donna, dovrebbe controllare al meglio i propri impulsi da “animale razionale” e non da “semplice” bestia guidata da impulso e da poco raziocinio. Per contrastare il femminicidio, oltre che a giuste norme giuridiche dovrebbe associarsi un radicale cambiamento socioculturale che purtroppo pare ancora intriso da arcaici modi di pensare e che non giovano di certo all’intera società (e non solo al nostro universo femminile!). (ultima puntata)

(*) Criminologa

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:21