
Lo scorso sabato si è concluso il Congresso del Partito Socialista Europeo nella Città Eterna e delle grandi decisioni: Roma. In un clima di festosa condivisione sono state votate alcune scelte importanti che un po’ ci riguardano. La prima di queste è la definitiva adesione del Partito Democratico italiano alla componente del socialismo europeo. In effetti, il nuovo leader Renzi si è precipitato a far cadere l’ultimo diaframma, dello spessore di una foglia di fico, che separava la sinistra moderata italiana dall’unione con i partiti-fratelli del resto d’Europa. Con buona pace della corrente interna degli ex-Popolari, che hanno fatto di tutto per opporsi a questo epilogo della loro storia politica in sede internazionale, i tentennamenti degli anni passati sono stati spazzati via in un colpo solo dall’arrembante “Capitan” Renzi.
In realtà, molti avrebbero scommesso che i trascorsi centristi del neo premier avrebbero impedito l’abbraccio mortale con la sinistra socialista europea. Ma si sbagliavano. Come mai? Probabilmente perché continuano, tutti costoro, a giudicare l’operato di Renzi secondo le vecchie categorie della politica fondata sugli invalicabili schematismi del passato. In troppi non vogliono rendersi conto che il fiorentino non è inquadrabile in quel sistema dei partiti-Moloch che egli non riconosce, o meglio, non conosce affatto. Renzi non è l’ultimo di una razza politica “over age”, è il primo di una nuova genìa politica che ha davanti una società profondamente diversa da quella in cui la maggior parte di noi è cresciuta e si è adattata a comprendere, e spesse volte ad assecondare.
Ha ragione Cacciari quando sostiene che i codici identitari dell’uomo e del politico Renzi siano quelli di una società liquida, cioè di un mondo che ha fuso tutto ciò che vi era di solido, in particolare nelle istituzioni, a partire proprio dal concorso dei cittadini alla vita politica del Paese, canalizzato mediante l’adesione alla forma-partito. È probabile che il filosofo veneziano abbia tratto la sua convinzione osservando la disinvoltura con la quale il giovane premier ha ignorato quegli steccati etici e ideologici che, finora, hanno delimitato l’agire politico nel nostro tempo. Nessuno scandalo, allora, se si definisse, sulla scia del pensiero di Bauman, lo stesso Renzi come un leader “liquido”, con tutto ciò che da questa classificazione ne consegue.
L’altra notizia che viene dal congresso romano dei socialisti europei è la decisione di candidare formalmente Martin Schulz alla prossima presidenza della Commissione Europea. Non è una sorpresa, lo sapevamo già. D’altro canto lo stesso Schulz non si è sottratto alla rituale processione per le capitali europee, in stile “madonna pellegrina”, pur di raccogliere tutti i consensi necessari. È comunque un bene che il Partito Socialista Europeo abbia anticipato le proprie intenzioni sul futuro della Commissione Europea, così gli incerti e i confusi sapranno per chi non votare. Ora, però, il problema è tutto nel campo dei popolari giacché si rende indispensabile che anche “l’altra parte” batta un colpo e dica con chiarezza cosa intende fare. Soprattutto chi desideri candidare in alternativa al socialista Schulz. Non è un punto secondario e non è solo questione di marketing elettorale.
È bene che gli elettori moderati, i quali si collocano generalmente nell’area di centrodestra, sappiano in anticipo quale sia l’indicazione politica del Ppe. Non renderla manifesta sarebbe questione grave e inquietante perché lascerebbe la porta spalancata al sospetto di una combine già pronta e servita per promuovere, anche in sede di amministrazione della Unione Europea, la strategia delle “larghe intese”. Forse ai cristiano-democratici della Cdu tedesca non guasterebbe acconciarsi al compromesso con l’ala sinistra, perché ciò consentirebbe di portare comunque un loro connazionale, ancorché di un partito avverso, alla guida d’Europa. Ora, se non possiamo pretendere dalla Merkel che chiarisca le sue intenzioni, possiamo però esigere dai referenti italiani del popolarismo europeo, e pare siano tanti che neppure si capisce chi siano, quale sia la loro previsione di comportamento in ordine alla possibilità di accordarsi anche in Europa come ci si è accordati, e male, in Italia. Lo dicano, e lo dicano per tempo di modo che ogni italiano che ha in testa di segnare con la croce il simbolo del Ppe ci faccia un pensierino supplementare prima di vergare la scheda.
Queste sono state le novità della due giorni socialista di Roma che hanno fatto notizia. Tuttavia al conto se ne dovrebbe aggiungere un’altra che ha fatto più rumore delle altre due. Una dimenticanza che la dice lunga sul futuro europeo che ci attende, vinca o non vinca quel campione di Schulz. Tra cori, applausi e abbracci i leader presenti, tutti, hanno omesso qualsiasi pur vago accenno alla situazione della crisi ucraina che in queste ore va rapidamente evolvendosi verso il suo acme. Certi silenzi sanno essere assordanti. E quello dei socialisti europei è stato un silenzio molto, molto eloquente. Sembrava il coro a bocca chiusa della “Madama Butterfly”. Un brusio diffuso nell’aria senza che neppure una mascella si muovesse. Speriamo che sull’Ucraina non si finisca a fare la fine di Madama Butterfly. Aspettiamo. Un bel dì vedremo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:05