Rai, Brunetta incalza Gubitosi

Non ci sta Renato Brunetta a rinunciare alla sua operazione trasparenza sulla Pubblica Amministrazione, sulla Rai in primis. A distanza di un mese dall’oscuramento momentaneo del sito no profit www.raiwatch.it, creatura da lui stesso promossa proprio in qualità di membro della commissione di Vigilanza Rai, per mano di quello che definisce “un combinato disposto tra Rai e magistratura”, è nuovamente sul piede di guerra e passa il testimone del vecchio Raiwatch ad un nuovo sito: www.tvwatch.it.

L’intenzione è di riprendere da dove si era iniziato: consentire ai cittadini l’accesso libero alle informazioni sulle remunerazioni, sui costi, in generale sui quesiti posti dai parlamentari membri della commissione e sulle risposte di viale Mazzini, in breve sull’attività di sindacato ispettivo che i membri di San Macuto svolgono nei confronti dell’azienda radiotelevisiva pubblica italiana. E incalzare, sul solco di quanto fatto da RaiWatch, l’azienda radiotelevisiva italiana con la battaglia di trasparenza e libertà di informazione dei cittadini attraverso la rete, verificare il servizio pubblico in modo costante e limpido con l’ambizione di allargare il raggio di osservazione dell’universo Rai e far luce sulle assunzioni, sui compensi, sui curricula, sulle consulenze, sugli appalti e sui fornitori. Secondo una divisione in quattro categorie: compensi, fornitori, pluralismo e osservatorio di Pavia, destinate rispettivamente a render visibili gli stipendi di dipendenti e consulenti, i fornitori Gruppo Rai e destinatari di contratti pubblici oltre che i requisiti economico-finanziari prescritti dall’azienda pubblica per la fornitura di beni e servizi, le interrogazioni presentate in merito ad ogni trasmissione andata in onda e le repliche fornite da viale Mazzini, infine i dati forniti dall’Istituto di ricerca e analisi della comunicazione fondato nel 1994, i dossier e gli esposti dell’Agcom.

“Se la Rai intende oscurare anche questo - sbotta Brunetta - dovrà venire a prendersela con me, perché il sito questa volta è mio”. Già, perché il giudice di Bologna che ha accolto il ricorso di viale Mazzini, inoltrato lo scorso 15 gennaio dal direttore generale di viale Mazzini, Luigi Gubitosi (nella foto), per via dell’utilizzo della sigla Rai, se l’è presa con la società che svolgeva le funzioni di provider. Il punto, però, è che non si era in presenza di alcuna forma di concorrenza, né dal punto di vista televisivo né giornalistico. Ma di un legittimo servizio pubblico reso ai cittadini che hanno tutto il diritto di conoscere la destinazione dei soldi sborsati annualmente con il canone attraverso un qualche canale di trasparenza che espugni quel feudo impenetrabile di lottizzazioni e spartizioni politiche che è la Rai.

Certo, le resistenze al cambiamento nella pubblica amministrazione sono molto forti e, ad esser proprio puntigliosi, il sospetto che il direttore generale di viale Mazzini le assecondi è forte; tanto che Brunetta, a proposito della sospensione del precedente sito, si spinge oltre e parla di intimidazione da parte di Gubitosi, accusato di voler perseverare nella gestione opaca di un’azienda pubblica in perdita ma che paga a Fazio emolumenti milionari. Tanto che il capogruppo di FI alla Camera, proprio nel giorno della presentazione del nuovo sito, non solo chiede polemicamente al direttore generale della Rai se ha intenzione di far oscurare anche il secondo sito, dicendosi convinto che tra i due sarà costretto a mollare prima il direttore generale della Rai, ma presenta un’interrogazione parlamentare, che si aggiunge alle precedenti, indirizzata a Renzi e a Padoan, per chieder conto della mancata applicazione della legge dello Stato che obbliga alla trasparenza sulle remunerazioni di viale Mazzini e per la quale sono già stati fatti vari esposti alla Corte dei Conti.

Non si può chiedere il canone, ragiona Brunetta, rifiutare la chiarezza sull’azione dell’azienda e pretendere che la Rai goda delle medesime logiche del mercato, magari con l’appoggio della magistratura. Se un nuovo sito può fare la sua parte nel radicare la mentalità per cui essere servizio pubblico non significa avere dei privilegi ma delle precise responsabilità nei confronti dei cittadini a cui vanno garantiti pluralismo, libertà d’informazione e trasparenza, ben venga.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:18