La Kyenge e il Corsera politicamente corretto

Gli sviluppi della vicenda Padania-ministro Kyenge hanno assunto risvolti a dir poco ridicoli. Per un verso. Per un altro, sul fronte dell’atteggiamento di stampa e media, preoccupanti sebbene confermino una tendenza in corso già da tempo. Il ministro Kyenge ha reagito alla pur maldestra iniziativa della Padania che aveva pubblicato l’agenda istituzionale del ministro, con parole di raro infantilismo e che soprattutto denotano uno spaesamento concettuale e logico che non ci si aspetterebbe da chi ricopre una carica di governo.

È innegabile l’intenzione polemica dell’iniziativa del quotidiano leghista, ma vogliamo proprio ricordare quante campagne ben più rancorose e punitive sono state avviate negli anni e nei mesi passati da altre testate nei confronti di personaggi e semplicemente detestati? Oltretutto non confliggeva con il diritto democratico dei cittadini di essere informati sugli appuntamenti del ministro, tra l’altro già pubblicati sul sito del dicastero guidato dalla Kyenge, né con quello di un giornale di informare i suoi lettori dando a coloro che lo decidessero la possibilità di contestarla.

Come avviene in qualsiasi Paese democratico a politici e governanti responsabili di scelte o progetti discutibili per almeno una parte dei cittadini. Gravissimo, al contrario, che in nome di un inquietante anelito alla repressione del dissenso, si sia parlato di un “antifascistissimo” sequestro preventivo del giornale della Lega. Ma veniamo al ministro nel Paese delle meraviglie, che in qualità di membro dell’Esecutivo dovrebbe essere stato informato che fa parte del gioco democratico accettare il dissenso di eventuali sue scelte o idee ritenute discutibili. Che i militanti leghisti contestino, legittimamente, sebbene con un ripugnante tono xenofobo, il ministro sui contenuti da lei espressi, è un fatto. La Kyenge ha reagito parlando di minaccia alla democrazia e di rispetto per il ruolo delle istituzioni e di un leader politico.

“L’Italia – ha affermato – pretende il rispetto delle persone della carica che rivestono e del messaggio che vogliono infondere. La mia attività va oltre quello che faccio”. Frasi che denotano non solo una concezione di se stessa decisamente spropositata. Ma anche un’idea distorta di democrazia secondo cui chi non condivide le sue convinzioni è automaticamente un antidemocratico e un razzista. La posizione della ministra, che trasforma le tesi politicamente corrette in fatto di immigrazione in una sorta di totem intoccabile, non è affatto isolata. Trova ampio riscontro, infatti, nel conformismo politicamente corretto di gran parte della stampa italiana.

E, in particolare, del Corriere della Sera, il primo quotidiano italiano, che nei giorni scorsi ha relegato in uno striminzito colonnino cartaceo e nell’edizione on-line al ventunesimo posto, la notizia dell’aggressione subita dal proprio editorialista Angelo Panebianco colpevole di aver scritto un ragionevole articolo in cui si affrontava il fenomeno dell’immigrazione con un approccio realistico e ragionato e si criticava l’approccio ideologico sia degli xenofobi che dei fautori dell’accoglienza buonista. La sensazione è stata decisamente inquietante. Non potendo evitare del tutto di dedicare uno spazio in difesa di uno dei suoi editorialisti più acuti ma spesso “contaminato” da idee troppo liberali, il primo quotidiano italiano ha optato per la solita “equidistante” scelta di affidare ad un articoletto di solidarietà confinato in una delle ultime pagine, un timido sostegno a Panebianco la cui aggressione è stata addirittura messa sullo stesso piano della campagna contro la Kyenge della Padania.

Insomma, il solito colpo al cerchio e l’altro alla botte, velato oltretutto dalla evidente necessità di mettere la ministra al riparo da qualsivoglia critica o dissenso. E l’ennesima e adamantina prova del conformismo governativo del Corriere. A conferma di quanto via Solferino cavalchi intenzionalmente la scia dell’omologante verbo politicamente corretto, il totalitarismo egualitarista del dovere all’accoglienza e un’euromondializzazione o “snazionalizzazione” del nostro Paese secondo la linea che la sinistra, da sempre animata da una storica diffidenza per i concetti di nazione e di italianità, persegue.

Una linea che alimenta la prospettiva di un’immigrazione incondizionata e rinforza il già diffuso timore che sugli italiani gravi una mannaia destinata a depotenziare identità ed abitudini culturali del nostro Paese. Il Corriere, dunque, evitando la difesa esplicita e forte del suo editorialista, ha confermato una linea editoriale in cui non c’è spazio per il pensiero critico. Con questa scelta c’è da aspettarsi che se Panebianco non si piegherà al politicamente corretto correrà il rischio di far presto compagnia a Piero Ostellino nelle ultime pagine del giornale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:04