Battute, mal di pancia e chiacchiere da bar

Il caso delle dimissioni del viceministro dell’Economia Fassina si presta a molte interpretazioni. Ovviamente gli avversari di Renzi, interni ed esterni, hanno sottolineato l’abituale uso che quest’ultimo fa delle battute, fino ad arrivare allo scherno personale. E nel caso del malpancista Fassina mi sembra proprio che sia stato raggiunto il livello del dileggio gratuito. Livello che il segretario di un grande e tormentato partito come quello democratico non dovrebbe potersi permettere, onde non innescare ulteriori micce in una condizione potenziale sempre abbastanza esplosiva.

Ma probabilmente il sindaco di Firenze, adottando questo linguaggio da ducetto scherzoso, ritiene che la maggioranza degli appartenenti al Pd, dopo essere salita velocemente sul suo carro vincente, resterà disciplinatamente nei ranghi almeno fino a quando verranno chiariti i due aspetti nodali del loro futuro politico: la nuova legge elettorale e la data delle prossime elezioni parlamentari. Tuttavia, al di là degli equilibri strategici, c’è un aspetto della vicenda che rivela ancora una volta l’intenzione da parte di Renzi di offrire un qualche segnale di cambiamento ad un popolo stanco di parole vuote e false promesse.

L’idea è quella, già sfruttata da altri in passato, di utilizzare un eloquio pubblico formalmente anticonformista per offrire l’immagine di un uomo in grado di rivoluzionare le “cose”. E visto che da sempre la politica è fatta sostanzialmente di chiacchiere e spesa pubblica, anche Renzi ritiene che modificare il primo aspetto - dato che chi tocca i fili della spesa è difficile che non resti politicamente folgorato - possa illudere gli ingenui circa l’imminente avvio della sua rivoluzione in salsa toscana. Sotto questo profilo, il mandare al quel paese chiunque provi a sbarrargli la strada si lega in senso logico al suo già ben sperimentato nuovismo della rottamazione.

In altri termini, sembra prevalere da tempo nell’azione propagandistica del giovane segretario un’ostentata tendenza - sempre a chiacchiere - ai metodi spiccioli, così da indurre i più a pensare che finalmente è arrivato il castigamatti dei politici tradizionali, usi ad un linguaggio paludato, il quale con quattro battute li manda a casa, trasformando l’Italia in un giardino fiorito.

Il problema, però, è che queste scorciatoie verbali possono pure servire a conquistare un grande partito ed, eventualmente, a raggiungere la stanza dei bottoni, ma quando poi si dovranno affrontare i nodi sistemici di un Paese affetto da un eccesso di Stato, di spesa corrente e di tassazione, le chiacchiere e le battute conteranno meno del due di bastoni. Quando si scala la montagna piena di sapone della politica anche le barzellette e lo sfottò aiutano a salire più velocemente. Tuttavia, come ammonisce Ardano Ascetti in una sua opera buffa, “chi troppo in alto sal cade sovente precipitevolissimevolmente”.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:16