Giudici ignoranti coperti dalla stampa

E così i giudici milanesi, che hanno motivato la condanna dell’allora premier Silvio Berlusconi a sei anni per concussione e uno per prostituzione minorile, non conoscono la differenza tra una carica istituzionale come è quella di presidente del Senato (notazione: la seconda è il presidente della Camera) e un ruolo politico, come quello del presidente del Consiglio. Anche a voler sorvolare sul merito delle motivazioni della sentenza che poggia su un’orgia infantile (l’unica con riscontri in questo processo) di locuzioni probatorie che vanno dall’ “è certo” all’ “è evidente”, fino alla deliziosa “con sicurezza confinante con la certezza”, oltre che sulla minaccia di accusa per falsa testimonianza nei confronti di chi nega di aver subìto dall’ex presidente del Consiglio costrizioni e pressioni di sorta, da quelle pagine ora spiccano anche altri elementi probatori.

Questa volta, però, riguardano la sconfinata ignoranza del collegio giudicante. In realtà la notizia è ormai vecchia, e pare davvero singolare doversene occupare ancora, ma lo scarsissimo rilievo datole dalla grande stampa, quando non si è trattato addirittura di sbianchettamento vero e proprio degno del più efficiente e collaudato connubio mediatico giudiziario, la rende ancora attuale poiché riguarda l’ormai incontrollabile sistema giudiziario italiano il cui potere nemmeno, evidentemente, poggia su minime basi di cultura costituzionale. Veniamo al testo. Sono ben due le occasioni in cui si fa riferimento al presidente del Consiglio come ad una delle più alte cariche istituzionali dello Stato.

Nel capitolo sulla Concussione, relativa alle telefonate dell’ex premier al dirigente di polizia per liberare e far affidare Ruby alla Minetti, ecco cosa ritiene il collegio dei giudicanti: “La richiesta proveniva dal presidente del Consiglio dei ministri in persona, ossia da una delle più alte cariche istituzionali dello Stato. Tale circostanza era oggettivamente idonea a condizionare gravemente la libertà morale del soggetto passivo derivante dall’indebita richiesta avanzata da Berlusconi...”. A pagina 323, poi, nel capitolo “Il trattamento sanzionatorio”: “Risulta a tale proposito evidente la sproporzione tra l’intensità e la costrizione, proveniente dalla seconda carica istituzionale dello Stato, rispetto allo scopo avuto di mira, nel caso di specie il rilascio di una prostituta di 17 anni”.

Straordinaria prova di preparazione costituzionale da parte di chi della Costituzione è posto a difesa, davvero. Ma è pensabile che di un intero collegio composto da ben tre giudici nessuno sia stato nemmeno sfiorato dal dubbio che il presidente del Consiglio non sia la seconda carica dello Stato, rappresentata, invece, dal presidente del Senato? E poi, non che questo possa rendere il verdetto meno indigesto all’ex premier, ma anche al cospetto di tutti i cittadini che potrebbero finire davanti ad un organo giudicante, è accettabile una tale incongruenza tra l’enormità e la gravità delle accuse formulate a carico di Berlusconi e un tale abisso di ignoranza da parte dei giudici che hanno formulato tali motivazioni della sentenza di condanna? Se ignorare la differenza tra ruolo politico e cariche istituzionali è perdonabile ad un cittadino comune, in alcun modo può esserlo a chi è preposto ad applicare le leggi di cui si chiede giustamente rispetto ad ogni cittadino.

La sintesi di questa prova di alta “cultura giuridica” l’ha data, a suo tempo, il deputato del Pdl Osvaldo Napoli ironizzando amaramente sul fatto che “i giudici di Milano sono convinti di aver condannato una carica dello Stato, addirittura la seconda” e considerando che “trattandosi di una sentenza e quindi di un testo scritto, dunque frutto di attenta meditazione” si chiedeva “cosa pensare delle argomentazioni giuridiche addotte... avendo scambiato il presidente del Consiglio Berlusconi per la seconda carica dello Stato?”. Eppure, se si escludono il sito “La Repubblica Milano.it”, “Radicali Web” e pochi altri organi di informazione minori, la grande stampa, a partire dal Corriere della Sera, nessun organo di informazione ha rilevato l’enormità dell’errore, ripetuto ben due volte, compiuto dai giudici preposti all’applicazione delle leggi, considerando che nel 2010 Silvio Berlusconi era presidente del Consiglio e non presidente del Senato?

Si rischia di sconfinare nel rischio di furore dietrologico se si sospetta una censura bella e buona da parte della grande stampa nazionale, che si è ben guardata dal riportare i passaggi in questione, addirittura provvedendo nei punti chiave a chiudere i virgolettati presenti nelle motivazioni, sostituire fuor di virgolette la corretta dicitura presidente del Consiglio, per riaprirle ad errore corretto e seguitare a riportare testualmente il restante testo?

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:18