Le ragioni antiche ed i disastri di oggi

Quando non si può sparare sulla croce rossa si spara sulla Protezione Civile! L’importante è trovare il comodo capro espiatorio ed avviare presto qualche indagine giudiziaria sulle responsabilità dell’hic et nunc, dimenticando che alla base dei tragici e inarginabili effetti delle calamità naturali che devastano l’Italia e mietono vittime c’è una, questa sì, più che colpevole, mentalità, consolidata in sessant’anni, in alcune regioni più che in altre, che vive di osmosi clientelare tra amministrazioni locali e cittadini inclini all’abusivismo, una mancanza di cultura del territori e una spesa senza criterio dei soldi pubblici.

Come si fa, di fronte all’odierna caccia alle streghe e al conseguente rimpallo di responsabilità odierna, chiudere gli occhi sul fatto che l’impossibilità di affrontare con successo i disastri ambientali è il frutto marcio di decenni di cattiva politica che ha regolarmente aggirato i parametri di edificabilità, trasformando con estrema facilità le cubature da agricole in urbane, ha totalmente dimenticato la tutela del territorio per mere ragioni elettorali e spende le risorse statali in base a criteri di urgenza assurdi? Certo, i 20 milioni di euro destinati dal governo per gestire il disastro in Sardegna rappresentano una cifra ridicola se rapportata ai 40 milioni di euro destinati all’Osservatorio per l’Autorità Palestinese o ai 50 milioni di dollari andati per la crisi in Siria.

Ma l’emergenza, non risolvibile nemmeno con un incremento delle cifre destinate al dopo disastro, è che ci lasciamo alle spalle (e in realtà tutto indica che ancora non siamo usciti dal guado) anni ed anni in cui in Italia specialmente nei piccoli comuni la formula “allargare il piano regolatore” ha nascosto la costante pratica di aggirare la linea di demarcazione esistente tra casa su terreno agricolo ed edificio urbano, consentendo ogni tipo di devastazione ed in zone rischiosissime troppo spesso al di sotto di un certo livello altimetrico o in terreni argillosi. Una prassi che, anche volendo ricorrere ad esempi non legati a disastri idrogeologici, ha provocato in Campania il crollo della terrazza sul mare di Villa dei Marini sulla costiera amalfitana o tra i cui esempi spicca la delibera bassoliniana delle utilità pertinenziali per condonare dei garage costruiti su terreni demaniali nel terreno di Vico Equense.

Una consuetudine che ha consentito attraverso imbrogli catastali di far “sparire” dal demanio interi appezzamenti e assegnare zone territoriali pericolose per fittizio “uso capione”, nei piccoli comuni a rischio idrogeologico attraverso un consolidato sistema di scambio, cui tutti siamo assuefatti, da cui non sono del tutto estranei nemmeno enti come le Comunità montane e gli Enti di bonifica. Anch’essi ormai veri e propri moltiplicatori di incarichi da scrivania, spesso molto più attenti a non tradire le indicazioni politiche del ministero e delle Regioni di riferimento, in sostanza gli scambi clientelari, che a svolgere le mansioni di controllo, prevenzione e sicurezza che compete loro esercitare a tutela dei presidi urbani che insistono su terreni pedecollinari a rischio.

Questa eredità della politica, in particolare quella della Dc, del Psi ed anche del Pci negli anni Sessanta e Settanta, non può che far esplodere la rabbia viscerale dei cittadini meno scaltri e delle amministrazioni regionali virtuose di fronte ai continui effetti di una dissennata politica clientelare che nessun budget statale è in grado di fronteggiare agli occhi degli italiani consapevoli di come la zona di Olbia abbia subito una speculazione edilizia in barba ad ogni vincolo paesaggistico o che in Calabria e in Puglia il nobile pretesto dell’industria balneare e turistica abbia consentito ogni sorta di speculazione e di abusivismo edilizio.

Si innesta infine, in questa istantanea dalle radici lontane, un ulteriore fattore che aggrava il quadro della gestione dei disastri ambientali in Italia: con gli anni, a seguito dell’abbandono progressivo delle zone pedecollinari di tutto lo Stivale a favore dell’inurbamento, le mansioni di tutela del territorio, prima esercitate dagli abitanti come la cura del sottobosco o la pulizia degli alvei fluviali non vengono svolte da nessuno con conseguente amplificazione delle conseguenze delle turbolenze ambientali.

Non c’è da stupirsi o da protestare, allora, se quando piove eccessivamente si verificano dei disastri. Il passato e le polemiche del giorno dopo sono, a dir poco, stucchevoli. La responsabilità è dei meteorologi, no, della Protezione Civile. Si attende che la magistratura faccia luce, perché, statene certi, è solo questione di tempo: un pm, oggi o domani, indagherà. Anche avessero previsto esattamente dove e quanta acqua sarebbe caduta, sarebbe cambiato qualcosa? Gli abusi edilizi sarebbero scomparsi d’incanto? Le opere di messa in sicurezza di ponti, argini, greti di fiumi sarebbero di colpo, miracolosamente state fatte? Qualche sindaco - oltre ad impedire gli abusi di cui sopra - si sarebbe preso la responsabilità di evacuare qualche paese? Ovviamente no.

Oggi la Sardegna - e noi tutti - piangiamo 16 vittime, ma nemmeno questa tragedia cambierà nulla. Si scateneranno, a breve, le polemiche sugli aiuti insufficienti, sulla ricostruzione che partirà forse tra anni e la gente dovrà rimboccarsi le maniche, da sola, e tentare di ricominciare scavando il fango con le mani. Sopra le loro - le nostre - teste, la politica si frega le mani e già pregusta i flussi di denari che arriveranno e che gestiranno in attesa della prossima tragedia, sempre uguale, sempre la stessa che si tratti di alluvione o terremoto, in un altro o nello stesso luogo. E prima o poi, anche il Vesuvio sbotterà.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:47