Comprendere il valore della governabilità

Quando un governo e una maggioranza si trovano in un’evidente condizione di impasse, e questo mi sembra sempre più il caso dell’esecutivo delle larghe intese, si affidano al jolly della cosiddetta stabilità. Essa, normalmente, viene presentata dagli addetti ai lavori come un valore intrinseco, prescindendo da qualunque contenuto. In sostanza, paventando spesso eventuali tempeste finanziarie, si sostiene che il Paese rischia di pagare un conto salato in mancanza di un sistema che garantisca esecutivi di ampio respiro, possibilmente in grado di coprire l’intera legislatura.

È proprio su questa base che dopo la lunga esperienza proporzionalista della cosiddetta Prima Repubblica si modificò più volte il sistema elettorale, con l’obiettivo di rendere solide le varie maggioranze. Detto questo, mi sembra comunque doveroso aggiungere che l’attuale meccanismo di voto, volgarmente definito porcellum, risulta in un tale momento storico assolutamente inadeguato allo scopo di garantire l’agognata stabilità. Se infatti si dovesse malauguratamente tornare al voto con il medesimo sistema, è assai probabile che si ricreerebbe una pericolosa situazione di stallo, con una prepotente crescita delle componenti più irresponsabili dell’attuale offerta politica.

Ma è anche vero che ottenere una stabilità di lunga durata fine a se stessa non servirebbe a molto. Ed è esattamente questo che occorrerebbe spiegare in premessa quanto si affronta l’argomento. In estrema sintesi, con uno sguardo all’attuale condizione italiana, la citata stabilità politica dovrebbe garantire fondamentalmente due cose: a) realizzare quelle tanto decantate riforme strutturali di cui ci si riempie la bocca da quasi un ventennio; b) in caso di emergenza, prendere in tempi rapidi tutta una serie di decisioni, scomode sul piano elettoralistico ma necessarie su quello razionale.

In soldoni, ciò significa per noi incalliti liberali la possibilità per un governo di legislatura di affrontare l’endemica condizione che ci affligge, caratterizzata da un eccesso di spesa pubblica e di tassazione. Tuttavia, se la decantata stabilità dovesse servire esclusivamente a mantenere la rotta della navigazione verso un modello di intervento pubblico che tende inesorabilmente a crescere, come dimostra l’imbarazzante rentrée dello Stato in alcuni ex carrozzoni pubblici, restringendo di conseguenza il benessere economico dell’intera collettività, allora non sapremmo francamente che farcene. Giunti più volte sull’orlo del baratro, la stabilità del continuismo statalista non potrebbe che peggiorare le cose.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:41