Italia, Bel Paese dei

In Italia da molto tempo a questa parte non ci sono mai stati governi degni di questo nome, ma solo governicchi. E sotto questo profilo quello diretto da Enrico Letta lo conferma ampiamente. Basta analizzare l’impostazione della cosiddetta legge di stabilità per rendersene conto.

Un coacervo inestricabile di provvedimenti che sembrano rispondere sempre a una stessa logica: tagli di spesa incerti e aumenti delle tasse, spesso occultati sapientemente, inesorabili. Tra questi ultimi vorrei ricordare, nonostante le rassicuranti dichiarazioni del vicepremier Alfano circa una manovra senza aumenti fiscali, l’inasprimento del 25% – dall’attuale 1,5 al 2 per mille – dell’imposta che grava sui depositi dei titoli finanziari. Si tratta di un’imposta particolarmente odiosa perché, come tante altre di questo disgraziatissimo Paese, colpisce il patrimonio.

D’altro canto la filosofia di fare cassa andando a prendere i soldi dove risulta più facile trovarli, in questo caso i risparmi degli italiani investiti in azioni e obbligazioni – titoli di Stato compresi – è per l’appunto una delle caratteristiche peculiari dei governicchi. Non potendo ridurre per ragioni di consenso l’enorme Moloch della spesa pubblica (a meno che non vogliamo considerare il taglio del 5 e del 10% – a seconda del settore – degli straordinari del pubblico impiego un reale abbattimento degli enormi costi di questo Stato collettivista), ci si rivolge al patrimonio degli italiani.

E sotto questo profilo, la casa e i risparmi rappresentano ancora un terreno fiscalmente fertile per il sempre più trasversale partito del deficit-spending. Tanto è vero che pure sulle abitazioni, dopo aver faticosamente eliminato l’Imu sulla prima casa, la maggioranza ha fatto spuntare un balzello che si preannuncia ancor più sinistro: la Trise. Una sorta di cerbero fiscale che, come l’Irap, incorpora più tassazioni e che rischia di estorcere maggiori risorse rispetto alla summenzionata Imu.

Il problema vero è che nella politica italiana manca un’offerta credibile sul piano di una ragionevole riduzione del perimetro pubblico, presupposto sostanziale, quest’ultimo, per abbattere in modo sensibile una pressione tributaria allargata insostenibile.

Quando si tratta di tagliare la spesa attraverso la via maestra dell’eliminazione delle competenze pubbliche – invertendo il vecchio motto dalemiano del più Stato e meno mercato – nei palazzi della democrazia si scoprono tutti statalisti. Basti pensare che persino la ministra “liberale” Lorenzin era pronta ad alzare le barricate per non toccare un euro nella nostra disastrata e costosissima sanità pubblica. Non è certo questa la strada per andare in paradiso.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:50