Non basta il canone Crozza rimane a La7

Urbano Cairo ha annunciato che Maurizio Crozza rimane a La7 ufficializzando con ciò il definitivo fallimento della trattativa con la Rai. L’editore della televisione privata non ha rivelato né tanto meno spiegato l’entità del contratto che ha rinnovato al comico, avvalendosi del suo sacrosanto diritto di tacere sulle cifre di un accordo che è evidentemente congruente all’importo delle entrate pubblicitarie che il programma di Crozza può effettivamente realizzare.

Una delle regole ferree del mercato televisivo è che la rete vende spettatori o ascoltatori alle aziende intenzionate all’inserzione pubblicitaria ed è partendo da essa che gli uffici contabili di qualsiasi emittente televisiva devono avviare qualsiasi trattativa o contratto con chi si ritenga essere un buono strumento di vendita di pubblico alla pubblicità. Sarebbe, quindi e tuttavia, interessante, in linea di principio, poter confrontare il contratto che viale Mazzini aveva offerto al comico e conduttore genovese con l’entità dell’accordo raggiunto con La7.

Ne affiorerebbe di certo la visibile maggiore capacità della Rai di raccogliere pubblicità rispetto a quella di un’emittente privata che cerca di conquistarsi fette di un mercato bloccato dal duopolio Rai-Mediaset. Ma l’ovvio non detto è che, soprattutto, si avrebbe la possibilità di verificare che a fare la maggior differenza tra i due tipi di contratto, quello milionario di viale Mazzini e quello di La7, è il fatto che viale Mazzini può contare sul canone. La Rai rispetto ai concorrenti ha la possibilità di veder sostenute le proprie entrate da un canone che le porta una stabilità economica quantificabile in un miliardo e 700mila euro l’anno.

Ora, quando Gubitosi e i consiglieri di amministrazione Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi difendono a spada tratta Fabio Fazio e il suo diritto al contratto milionario, tacciono, con assoluto omertoso silenzio, il non trascurabile particolare del non trascurabile aiutone offerto dai contribuenti all’azienda radiotelevisiva pubblica italiana. Nessun moralismo ad personam, o meglio ad “conduttorem”, dunque, va benissimo.

Tanto meno intenti epurativi di sorta. Ma teniamoci il diritto di riconoscere che la Rai gode di un vantaggio, questo sì, immorale, nei confronti sia dei cittadini che sono stressati da una pressione fiscale sempre più pesante in cui il canone Rai è componente non marginale, sia nei confronti di un mercato alterato dal privilegio in cui opera viale Mazzini.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:45