
Bis. La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per aver inflitto una pena detentiva a un giornalista condannato per violazione del diritto alla riservatezza. Antonio Ricci, creatore e responsabile di “Striscia la Notizia” da 25 anni, come Maurizio Belpietro. La pena di 4 mesi di carcere (poi sospesa) non era proporzionata al reato commesso. Andava sì condannato ma non alla prigione perché così facendo l’Italia violava il diritto di Ricci alla libertà d’espressione. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che l’infrazione commessa dall’inventore del telegiornale satirico non presentasse alcuna delle circostanze eccezionali che giustificano il ricorso a una pena detentiva.
La vicenda dalla quale ha preso le mosse la condanna si riferisce al 1996 quando “Striscia” mandò in onda su Canale 5 le immagini di un fuorionda Rai nel quale la conduttrice della trasmissione “L’altra edicola” scopriva che i suoi collaboratori non avevano chiesto al filosofo Vattimo la “liberatoria” per mandare in onda il litigio tra lui e lo scrittore Aldo Busi avvenuto durante la registrazione della puntata. Nel video trasmesso da “Striscia” la conduttrice dichiarava che aveva invitato i due personaggi proprio per farli litigare in modo da alzare l’audience. Antonio Ricci è stato ritenuto colpevole della violazione dell’art. 617 del codice penale che vieta le intercettazioni e la trasmissione di comunicazioni confidenziali.
Quattro mesi di carcere gli sembrarono eccessivi e così fece ricorso alla Corte di Strasburgo. Conclusione della vicenda: Italia condannata per la seconda volta in due settimane. Morale? Che qualcosa in questa materia non vada bene ne ha preso atto il Procuratore generale della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, che ha invitato “i pm assegnatari dei procedimenti per diffamazione a mezzo stampa e designati per il dibattimento a segnalargli, preventivamente, i casi nei quali potrebbero ricorrere circostanze eccezionali che renderebbero proporzionata la richiesta di applicazione di pene detentive”.
Il riferimento era al caso Belpietro che era stato condannato per omesso controllo a 8 mesi di reclusione per diffamazione in merito a un articolo pubblicato su “Il Giornale” nel 2004. Il Procuratore di Milano ha invitato i pm ad attenersi alle direttive della Corte europea. “Nessuno – ha osservato il segretario della Fnsi, Franco Siddi – può adesso avere più dubbi. La sanzione del carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa deve essere cancellato. L’Italia è fuori tempo massimo per mettersi in regola con le consolidate norme europee sui diritti umani”.
Due ceffoni di Strasburgo all’Italia e al Parlamento che da decenni rinvia il varo della riforma della legge. Sono anni che i cronisti sostengono l’illegittimità del carcere per il reato di diffamazione di cui anche il Capo dello Stato ha sollecitato il superamento. In questi anni i fautori del carcere e delle limitazioni improprie all’informazione hanno portato avanti la tesi che quanto previsto dall’art.10 della Convenzione europea fosse una semplice indicazione e non una norma cogente per gli Stati firmatari.
I giudici di Strasburgo hanno invece ribadito un principio fondamentale: la reclusione in carcere per un reato commesso nel settore della stampa non è compatibile con la libertà d’espressione. Può essere decisa solo in circostanze eccezionali come nel caso di incitazione alla violenza o all’odio razziale.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:05