Dimissioni Letta e l'incognita di dicembre

Si fanno in queste ore sempre più insistenti le voci sulle possibili dimissioni di Letta a dicembre e sul conseguente voto in primavera. Tanto che l’incognita più grande, a tal punto, è come ci si arriva a questo benedetto mese di dicembre. L’offensiva di Berlusconi e dei cosiddetti falchi del Pdl (per quanto strumentale e fortemente provocatoria) sulle dimissioni di massa, ovviamente, non è una iniziativa nata per partenogenesi, ma la risposta palese ad una decisione meno manifesta (non per questo poco evidente), compresa da pezzi importanti del Pd e dagli apparati dello Stato, che le Procure (quella di Napoli in particolare) hanno deciso di spiccare, a breve, un mandato di arresto nei confronti del leader del centro destra.

 Il circo è partito, la decisione annunciata: De Gregorio trattato come un galantuomo in televisione e dai giornali, i messaggi in codice di Valter Lavitola (vedi Messaggero e Il Fatto Quotidiano della scorsa settimana) sono segni evidenti della strada intrapresa dalla Procura partenopea e, al solito, i soliti giornali e soliti esponenti politici seguono festanti. L’uscita di scena per via giudiziaria e conseguente martirio di Berlusconi è oramai segnata. Non capisco, però, a chi davvero convenga.

Non certo all’Italia. Per alcuni versi - non scherzo - mi sento solidale con Enrico Letta: accompagnato dalla lobby dei cuochi, povero figlio, se ne stava in quel di New York a raccontare, per giunta in perfetto inglese, al mondo intero che il nostro Paese è “cool”, giovane e dinamico. Che la pacificazione politica era cosa fatta, che sull’Italia finalmente ci si poteva contare… e che gli fanno? Lo sputtanano! Ma Letta ha sbagliato prendendosela con il centro destra: “il Pdl ha umiliato l’Italia” ha detto. Ora, a parte la leggera ingenerosità - è il Pdl, anche il Pdl, che gli ha permesso di essere il presidente del Consiglio o no? - ha sbagliato a indirizzare i suoi strali verso questa forza politica perché è il suo partito (parte, al meno, del suo partito) che s’è incapricciato dinnanzi all’ipotesi di un Berlusconi in galera.

Io voglio bene davvero all’Italia e certe baggianate sull’italianità ascoltate ultimamente mi lasciano perplesso. Bisogna capire, infatti, se il bene più grande sia il risanamento economico o la bandiera (tra l’altro brandita anche da gente improbabile), se sia più grave vendere le aziende o il fatto che non se ne aprano più… E’ vero che siamo in vendita tanto al pezzo, che sembra di stare, anzi, ai saldi di fine stagione, ma qui è politicamente che si rischia grosso, che si rischia tutto. La caduta di un governo è un fatto politicamente fisiologico se avviene per via democratica, se sono le questioni politiche a determinarlo. Non quelle giudiziarie. Non la resa dei conti, non l’odio. Vi immaginate la campagna elettorale che ne seguirebbe? Questo si, che non ce lo possiamo permettere.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:52