Dimissioni Letta e l'incognita di dicembre

sabato 28 settembre 2013


Si fanno in queste ore sempre più insistenti le voci sulle possibili dimissioni di Letta a dicembre e sul conseguente voto in primavera. Tanto che l’incognita più grande, a tal punto, è come ci si arriva a questo benedetto mese di dicembre. L’offensiva di Berlusconi e dei cosiddetti falchi del Pdl (per quanto strumentale e fortemente provocatoria) sulle dimissioni di massa, ovviamente, non è una iniziativa nata per partenogenesi, ma la risposta palese ad una decisione meno manifesta (non per questo poco evidente), compresa da pezzi importanti del Pd e dagli apparati dello Stato, che le Procure (quella di Napoli in particolare) hanno deciso di spiccare, a breve, un mandato di arresto nei confronti del leader del centro destra.

 Il circo è partito, la decisione annunciata: De Gregorio trattato come un galantuomo in televisione e dai giornali, i messaggi in codice di Valter Lavitola (vedi Messaggero e Il Fatto Quotidiano della scorsa settimana) sono segni evidenti della strada intrapresa dalla Procura partenopea e, al solito, i soliti giornali e soliti esponenti politici seguono festanti. L’uscita di scena per via giudiziaria e conseguente martirio di Berlusconi è oramai segnata. Non capisco, però, a chi davvero convenga.

Non certo all’Italia. Per alcuni versi - non scherzo - mi sento solidale con Enrico Letta: accompagnato dalla lobby dei cuochi, povero figlio, se ne stava in quel di New York a raccontare, per giunta in perfetto inglese, al mondo intero che il nostro Paese è “cool”, giovane e dinamico. Che la pacificazione politica era cosa fatta, che sull’Italia finalmente ci si poteva contare… e che gli fanno? Lo sputtanano! Ma Letta ha sbagliato prendendosela con il centro destra: “il Pdl ha umiliato l’Italia” ha detto. Ora, a parte la leggera ingenerosità - è il Pdl, anche il Pdl, che gli ha permesso di essere il presidente del Consiglio o no? - ha sbagliato a indirizzare i suoi strali verso questa forza politica perché è il suo partito (parte, al meno, del suo partito) che s’è incapricciato dinnanzi all’ipotesi di un Berlusconi in galera.

Io voglio bene davvero all’Italia e certe baggianate sull’italianità ascoltate ultimamente mi lasciano perplesso. Bisogna capire, infatti, se il bene più grande sia il risanamento economico o la bandiera (tra l’altro brandita anche da gente improbabile), se sia più grave vendere le aziende o il fatto che non se ne aprano più… E’ vero che siamo in vendita tanto al pezzo, che sembra di stare, anzi, ai saldi di fine stagione, ma qui è politicamente che si rischia grosso, che si rischia tutto. La caduta di un governo è un fatto politicamente fisiologico se avviene per via democratica, se sono le questioni politiche a determinarlo. Non quelle giudiziarie. Non la resa dei conti, non l’odio. Vi immaginate la campagna elettorale che ne seguirebbe? Questo si, che non ce lo possiamo permettere.


di Giovanni F. Accolla