Quando la giustizia era una cosa seria

Non bisognava essere un mago per predire la fine politica di Berlusconi che sarà certificata, per lo meno sotto il profilo formale, stasera in Senato. Ma quando non si ascoltano i consigli disinteressati della stragrande maggioranza degli italiani che nonostante tutto ama ancora il Cavaliere, nella speranza mai perduta della rivoluzione liberale più volte tradita, i nemici giurati da sempre non potevano non cogliere l’occasione della vita, offerta loro dopo vent’anni di frustrazioni e sconfitte, dalla magistratura politicizzata.

Che senso aveva sperare in Napolitano per far sì che attraverso il legittimo e fondato sospetto di incostituzionalità della Legge Severino, si potesse trovare l’espediente per rinviare la decisione da parte della Giunta sulla decadenza dalla carica di senatore di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere sperava nell’opera di cerimoniere e ruffiano di Gianni Letta, zio di Enrico, per indurre il Capo dello Stato a intervenire sul suo partito, il Pd, posto che aveva favorito la nascita del Governo delle Larghe intese tra due partiti contrapposti in tutto, richiamando il davvero stucchevole “senso di responsabilità”, speranza mal riposta solo se per un attimo ci si fosse soffermati sull’ideologia di quel partito erede del Pci-Pds per un verso e di quella parte della Democrazia cristiana che non si è mai arresa alla sconfitta decretata non da tangentopoli, che è stata solo l’occasione, ma dalla storia che nel 1989 aveva decretato anche la fine del comunismo, tanto caro al presidente Napolitano.

Da stasera Berlusconi non sarà senatore e da domani finirà la sgradevolissima e dannosa esperienza del Governo Letta, che certamente proseguirà per disgrazia degli italiani l’esperienza governativa sotto l’egida di una nuova maggioranza raccogliticcia ma benedetta, indovinate da chi, dal sempiterno Napolitano, rieletto per la seconda volta Capo dello Stato per volere, non certo dello Spirito Santo ma del solito Silvio Berlusconi, complice la diplomazia del suo stretto collaboratore, Gianni Letta. Complimenti Cavaliere, un bel successo di strategia politica! E che ne pensa della nomina dei quattro senatori a vita, anche questa nomina ha favorito su consiglio della famiglia Letta! Mi auguro di no perché altrimenti ci sarebbe da dubitare sul suo stato mentale.

Comunque il problema del disastro giurisdizionale non sta come sostiene Giuliano Ferrara che parla di giustizia borbonica con chiaro riferimento negativo alla pronuncia della Cassazione presieduta dal Napoletano Esposito, nell’arretratezza dell’esercizio della giurisdizione, ma nella modernità e nella contemporaneità di tale esercizio. Mi spiego. Fino al 1973 vigeva un ordinamento giudiziario frutto della lungimiranza dell’architettura fascista, lungimiranza apprezzata finanche dai padri costituenti e dai governanti che si sono avvicendati dal 1948 in poi.

Così come sono rimasti in vigore quei monumenti giuridici che vanno sotto il nome dei codici Rocco, è rimasto in vigore quell’ordinamento che aveva nel merito il metro unico di giudizio per la progressione in carriera dei magistrati, si che si sono avvicendati nel tempo magistrati che insieme agli avvocati insigni del tempo hanno rappresentato l’esempio di una giustizia esemplare, amministrata e gestita da giudici e pubblici ministeri dotti e preparati, nonché sereni e professionalmente irreprensibili, da rappresentare l’Italia nel mondo come esempio da imitare e da contrapporre ai regimi anglosassoni dell’epoca.

Se non che quei magistrati insigni, come succede spesso in Italia, cominciarono a destare l’invidia di tanti politici che videro in quell’ordinamento una rigidità tale da ritenerlo oggetto di un sistema che definirono “Casta Tavolaro” (dal nome del presidente della Suprema Corte di Cassazione). Un democristiano, l’onorevole Breganze, presentò un disegno di legge che prevedeva la sostituzione del trascorrere del tempo al merito quale criterio per la progressione in carriera. Tale disegno, accolto con entusiasmo dai magistrati allevati sotto la guida del comunista Violante, venne approvato a larga maggioranza divenendo Legge dello Stato.

Da quel momento in poi, in assenza del controllo meritocratico, prevalse la politica sulla preparazione; con le conseguenze che oggi possiamo constatare. Caro Ferrara, magari fosse rimasta quella giustizia di un tempo che confondendola con quella attuale che è tutt’altro che borbonica; fai un gran torto ai tantissimi giuristi, magistrati e avvocati che, a differenza di quelli attuali, sono stati il vanto della Nazione, provenienti in gran numero dalla Calabria, dalla Campania e dal Meridione d’Italia tutto, fonte inesauribile di geni del diritto. Questa precisazione è quanto mai necessaria e utile per spiegare che ove fosse sopravvissuto il vecchio ordinamento giudiziario, per motivi elettorali e clientelari abolito, non staremmo qui a parlare di giustizia ingiusta e vessatoria nei confronti di un personaggio tutt’ora amato dagli italiani, pur fra le tante promesse mancate in vent’anni.

La più grave è stata senza dubbio la mancata riforma dell’Ordinamento giudiziario. I cattocomunisti che ipocritamente e per interesse politico negano l’evidenza, rivolgono al Cavaliere, insieme al disprezzo, il ben noto motto: “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”. Noi, viceversa, che non siamo né ipocriti né tanto meno falsi e che, nonostante le imperdonabili titubanze del cavaliere, amiamo l’Italia, combatteremo con tutte le nostre forze perché venga ripristinata la legalità, quella vera, e insieme ad essa lo Stato di diritto, violato in modo spudorato dalla magistratura politicizzata. Quella in essere, non quella borbonica!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:52