Occupazione: tagliare la mano pubblica

Mentre il governo incassa la fiducia della Camera sul cosiddetto decreto del fare, le prospettive della economia italiana restano tutt'altro che rosee anche per il 2014. Nonostante la recente tradizione che vede gli occupanti di Palazzo Chigi annunciare miracolose lucine in fondo al tunnel della crisi, tutti i più autorevoli istituti italiani ed internazionali stimano una situazione negativa pure nel prossimo anno. Questo fa presupporre un ampliamento della già vastissima platea di individui privi di occupazione, dato che senza una sensibile ripresa dei consumi e degli investimenti non potrà ripartire il mercato del lavoro.

 A meno che non si voglia prestare fede ai tanti demagoghi in servizio attivo permanente della nostra imbarazzante politica, a cui si sono da poco aggiunti i velleitari esponenti del Movimento 5 Stelle con il loro fantasmagorico reddito di cittadinanza. In sostanza, basta seguire uno dei tanti talk di approfondimento politico delle nostre tv per rendersi conto di quanto imperversi, nel mondo degli arruffapopoli, la spasmodica richiesta di un piano "democratico" per l'occupazione. E ciò come se uno stipendio garantito potesse scaturire da un atto deliberato della sfera politico-burocratica, malgrado quest'ultima abbia sempre dato prova di saper fare magnificamente solo una cosa: spendere con la massima disinvoltura, fino alla soglia della bancarotta, i soldi degli altri.

 Eppure molti politici di professione e di sindacalisti prestati alla politica - pensiamo al sinistro Airaudo il quale, dopo una lunga militanta nel soviet della Fiom, anche tra li fila di Sel continua a battersi per improbabili quanto anacronistici progetti per l'occupazione rigorosamente pubblici - si spendono nella forsennata idea di riportare lavoro e benessere attraverso una non ben precisata iniziativa del Parlamento. Quasi che si potesse influire sul benessere collettivo, rinverdendo una antica tradizione staliniana, a colpi di ukaze o di decreto legge che dir si voglia. Ma dopo decenni di fallimenti, si dovrebbe aver compreso che la mano pubblica, attraverso lo strumento dell'intermediazione burocratica, non può far nulla per stimolare direttamente il lavoro produttivo, quello che crea valore tanto per intenderci.

La mano pubblica, al massimo, può solo inventarsi un buon numero di lavori inutili con lo scopo di accrescere il proprio consenso, prelevando risorse proprio laddove ve ne sarebbe maggior bisogno. Da questo punto vista l'unico modo che la politica avrebbe per sostenere lo sviluppo e l'occupazione va esattamente nella direzione opposta rispetto a quella indicata dai citati professionisti della demagogia a buon mercato. Solo riducendo infatti il perimetro dello Stato e abbattendo l'enorme pressione fiscale si potranno creare le condizioni favorevoli per una ripresa complessiva del sistema. Condizioni, ahinoi, incompatibili con la visione e gli interessi di bottega di chi continua a proporre il male, ossia l'eccesso di intermediazione politica, come la medicina per curare i mali economici e finanziari del Paese.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:57