L'anomalia italiana e i paladini della forca

E così la folta componente forcaiola e giacobina di questo disgraziato Paese ha ottenuto finalmente la sua vittoria: il bau bau Berlusconi, l'autore di ogni misfatto nell'immaginario di molti sinistri personaggi, è stato condannato con sentenza passata in giudicato. Da questo momento l'Italia potrà imboccare senza indugio la strada del progresso, divendo più prospera e più giusta per tutti. Avendo rimosso l'Al Capone della politica attraverso una surreale odissea giudiziaria che lo ha visto subire ben 41 processi, non vi sono più ostacoli all'instaurazione del regno del benessere collettivo. Ma, ahinoi, le cose non stanno affatto in questi deliranti termini. La lunga vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi rappresenta invece l'ennesima anomalia di un sistema sempre più squilibrato su troppi piani.

 Pur avendo anche su queste pagine espresso duri giudizi sull'operato del Cavaliere nella sua lunga azione di governo, ho sempre guardato con orrore alla possibilità - lungamente invocata dai paladini della forca quale metodologia democratica - di liquidarlo al di fuori di una normale competizione elettorale. E non credo che, sebbene la sua figura appaia obiettivamente offuscata rispetto al passato, questa estrema soluzione ci possa rendere fieri di fronte al consesso internazionale. Anziché mandarlo in pensione per raggiunti limiti d'età e, mi permetto di aggiungere, per aver mancato di portare avanti quelle riforme promesse all'indomani della sua discesa in campo, una parte del Paese ha ritenuto di dargli il benservito gigliottinandolo moralmente con il reato più infamante per gli amanti del collettivismo strisciante: l'evasione fiscale.

E sotto questo profilo credo che i magistrati che lo hanno giudicato così duramente hanno, più o meno consapevolmente, interpretato al massimo grado le istanze di chi ha sempre diviso il mondo tra buoni e cattivi, attribuendo patenti di disonestà ai propri avversari politici. D'altro canto, occorre aggiungere, lo stesso Berlusconi ha dato il suo contributo ad un simile epilogo. Pur lanciando per anni anatemi e maledizioni contro la presunta politicizzazione della magistratura, egli non è riuscito neppure ad abbozzare una qualche riforma in questo delicato settore dello Stato. La tanto decantata separazione delle carriere è rimasta sostanzialmente lettera morta. Quale che fosse il motivo di tale inazione, incapacità o strategia di dissuasione, la sentenza del primo agosto dimostra che solo una vera politica del fare, non solo nel campo della giustizia, lo avrebbe potuto mettere al riparo da simili sciagure.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:53