
La sobrietà del Capo dello Stato nel celebrare la Festa della Repubblica è encomiabile ma sa un po', non me ne voglia, di ipocrisia. Poiché nel lontano 1946 il referendum indetto si concluse in favore della Repubblica, pur tra mille e fondate polemiche per le famose macchine di Romita, ministro degli Interni che avrebbero capovolto l’esito del voto popolare, largamente in favore della Monarchia, ed essendo trascorsi tanti anni dal famoso 2 Giugno 1946, forse l’unica festa sentita dagli Italiani, insieme a quella cattolica del Corpus domini, dovrebbe essere onorata e festeggiata almeno con La festa del Tricolore esaltata dalle famose Frecce tricolori.
Io e tanti altri non abbiamo rimpianto, a differenza dei nostri genitori e dei nostri Avi l’esito sia pur discusso di quel referendum, non avendo alcuna nostalgia per il tramonto della dinastia dei Savoia, ma vorremmo che l’attuale tanto acclamato capo dello Stato si rendesse protagonista della tanto agognata pacificazione nazionale, nel nome dell’Italia la nostra Italia che non è solo quella nata dalla Resistenza, ma anche e principalmente quella nata per le eroiche gesta dei tanti militari (e non solo) che hanno, in nome della Patria, sacrificato la propria vita. Solo per un momento vorrei ricordare a Napolitano, stretto collaboratore di Togliatti, che nonostante la sua giovinezza, come quella di tanti altri, fosse stata contrassegnata dalla frequentazione dei cosiddetti Fasci Littori, che gli italiani furono salvati da un grandissimo uomo ed avvocato di Santa Maria Capua Vetere, che, eletto con maggioranza solida Presidente della Costituente, divenne dopo non pochi contrasti con la parte social-comunista, il primo Presidente della Repubblica.
Con i suoi convinti pensieri liberali fece in modo che l’Art, 1 della Costituzione fosse scritto come ancora si legge "l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", dando alla parola un significato vasto ed universale (lavoro tutto, prima fra tutti quello della mente) e non come avrebbero voluto Terracini ed i suoi compagni "l’Italia è una Repubblica di lavoratori", con esplicito riferimento al lavoro manuale. Ma chi si ricorda di Enrico De Nicola? Pochi davvero pochi, così come spesso e volentieri si ignora Guglielmo Marconi, al quale gli americani dedicano, al pari di Colombo, un giorno intero di celebrazioni. Questa purtroppo è l’Italia repubblicana che abbiamo di fronte. Eppure dopo il boom economico degli anni Sessanta, l’Italia era considerata tra le prime cinque potenze industriali del mondo per la genialità dei suoi imprenditori. Che enorme differenza con i giorni nostri che festeggiamo per essere usciti dalla procedura di infrazione, e non sappiamo come fare tra tasse, bollette ed incombenze varie a sbarcare il lunario. Nel mentre, nonostante le promesse e gli intenti dei protagonisti delle larghe intese, primo fra tutti Berlusconi, non si vede all’orizzonte un briciolo di luce, se non quella flebile delle promesse che come al solito rimarranno tali.
Nessuno ancora ha fermato Equitalia che, imperterrita, continua a provocare tragedie, così come nessuno ha fermato lo strapotere delle banche, delle compagnie di assicurazione e delle società energetiche che al cittadino italiano tolgono il sonno. Eppure il Capo dello Stato, mentre passeggia insieme ai cittadini, nei sontuosi giardini del Quirinale, in maggioranza stranieri, si guarda bene dal pronunciare per la seconda volta, la parola "riforme", con particolare riferimento a quella che consente l’elezione diretta del Capo dello Stato, tanto cara a Berlusconi ma impronunciabile per i suoi attuali alleati, nel timore che gli Italiani, prima o poi decidano di far salire sul Colle proprio l’uomo di Arcore. Le tenteranno tutte, dalle condanne giudiziarie all'ineleggibilità, per evitare il rischio. Quella riforma non si farà a meno che, riandando a votare, gli italiani non determinino una maggioranza parlamentare tale che consenta la "riforma delle riforme". Nel frattempo tutto tace. Non si parla più neanche dei due marò, prigionieri di uno stato straniero, che a costo di affermare la propria sovranità, a differenza della derelitta Italia, viola in modo eclatante le norme internazionali.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:44