In Italia manca un'alternativa liberale

Al di là delle etichette, in Italia si avverte da molto tempo la mancanza di una alternativa autenticamente liberale al pensiero collettivistico dominante, soprattutto sul piano fondamentale dell'economia. Tanto è vero che quando si parla di rilancio del lavoro e dell'occupazione -tema di grande attualità in questo periodo- trovare qualcuno che abbia la visione ed il coraggio di contestare l'assioma più diffuso, ossia che questo è un compito di assoluta pertinenza della politica, è quasi impossibile. Se non vado errato, da molto tempo a questa parte, uno dei rari uomini pubblici che nel corso di un programma televisivo ha cercato di confutare il medesimo assioma è stato un paio di volte, quando faceva parte del governo Monti, Gianfranco Polillo. Per il resto, vuoi per una mera convinzione economica e vuoi soprattutto per un puro tornaconto di bottega, i politici e gli esperti di volta in volta interpellati fanno a gara nel corroborare la perniciosa idea di una occupazione quale riflesso diretto di iniziative di carattere governativo e parlamentare.

In altri termini, si cerca di spiegare ad un popolo sempre più confuso e affamato di lavoro che l'agognato posto fisso potrà esclusivamente scaturire dall'infallibile strumento di una legge ad hoc, al pari di tanti altre problematiche in cui, ahinoi, l'intervento attivo della sfera politico-burocratica ha sempre fallito i suoi obiettivi. Ma tant'è, nel settore nevralgico dell'occupazione sembra dominare incontrastata la spinta alla cosiddetta pianificazione democratica. Soprattutto a sinistra, senza tuttavia un accettabile contraltare nel fronte opposto, i potenti megafoni di una oramai storica egemonia culturale e, attualmente, anche mediatica impongono il mantra di strabilianti piani pubblici per l'occupazione. Persino sui tanto demonizzati canali televisivi dell'eterno Cavaliere si metteno in scena surreali teatrini nei quali, a blandire il gruppo di disoccupati o cassaintegrati di turno, troviamo uno dei tanti nostrani azzeccagarbugli che, a colpi di bibbia keynesiana, prospetta miracolose ricette per offrire a tutti i richedenti un futuro professionale roseo. D'altro canto, occorre doverosamente dirlo, è nella natura stessa di chi fa politica per professione la propensione a promettere in senso attivo la risoluzione di qualunque problema.

E per quanto l'idea liberale di puntare su uno Stato minimo e sul senso di responsabilità individuale possa risultare concettualmente affascinante, essa non sembra adatta a raccogliere molti consensi all'interno di una democrazia sempre più fondata, nonostante il presunto liberismo selvaggio continuamente segnalato dai soviet della Fiom e di Sel, sull'intervento pubblico. E tra i frutti perversi di questa continua disinformazione economica troviamo un crescente numero di individui i quali, soprattutto nelle regioni del Sud, si siedono passivamente lungo la riva del fiume, in attesa che la politica rimedi loro un postarello fisso a vita, prescindendo da qualunque considerazione legata alla produttività di mercato. Produttività di mercato che purtroppo in questo disgraziato Paese sembra divenuta materia di archeologia economica. Altro che liberismo selvaggio.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:55