Rifondazione senza sindrome di Stoccolma

Su di una cosa Fausto Bertinotti aveva ragione:il termine destra nella storia italiana va declinato al plurale. Il tempo storico che ha avuto come evento centrale la Rivoluzione francese ha anche consacrato la definitiva spartizione del campo politico nella coppia dicotomica Destra/Sinistra. Nella vicenda italiana, in particolare, le due parti hanno riprodotto, oltre che espressioni di schieramenti politici contrapposti, visioni inconciliabili della società riguardo ai suoi aspetti ideali, programmatici e valoriali. Ma questi mondi, per quanto abbiano aspirato a rappresentare differenti blocchi sociali, non sono stati, e non sono, dei monoliti. All’interno di ciascuno di essi si sono articolate dinamiche che hanno condotto al prevalere di alcune linee ideologiche su altre, in un confronto dialettico quasi mai pacifico. Ciò spiega perché sia improprio, o molto limitante, riferirsi alla Destra come a un soggetto unitario, dai contorni perfettamente tracciati.

Ciò che può essere classificato sotto il titolo “Le destre”, non è altro che la molteplicità di aggregazioni su base ideologica le quali, a fasi alterne, si sono date battaglia, in via prioritaria, per la conquista dell’egemonia nella propria metà campo prima ancora che per la guida dell’intera società. Tuttavia, il risultato certo che tutte insieme queste forze hanno ottenuto, più o meno efficacemente, è stato di fare muro contro l’avanzata di quelli dell’altra parte. Oggi, però, è giunto il momento di chiedersi se le formazioni arruolate a destra per uno sforzo comune di segno negativo, cioè impedire all’altro di vincere o quanto meno di realizzare i propri progetti imponendoli all’intera società, siano mai state in grado di indirizzare tutte le energie disponibili verso un’azione di segno positivo in sé sostenibile, cioè prospettare una visione omogenea del mondo, della civiltà, della morale, della politica, della economia, in una parola di un modello di vita coerente, condiviso negli ideali e nei principi informatori, sopra ogni strategia di calcolo per la gestione della contingenza.

A guardare la storia passata, e anche quella recente, la risposta non può che essere negativa, a cominciare dal primo elemento di rottura che si riassume in una semplice domanda: a chi, secondo un pensiero che sia genuinamente di destra, dovrebbe essere attribuita la sovranità? E questo non è che l’incipit per una lunga sequenza di quesiti a cui occorre dare risposta prima di affrontare la questione centrale della visione del futuro politico della nazione osservato e letto dall’angolo di curvatura di una destra pronta a interagire con le forze del centrismo moderato oltre che preparata a parlare con una voce sola. Si comprende che il tentativo di rifondazione (meglio sarebbe parlare di palingenesi) del centro destra, promosso dal pacchetto di mischia de L’Opinione, lodevole nei suoi intenti, inevitabilmente si procuri il sottile, e non sempre compreso, piacere d’infilarsi con le proprie gambe in un labirinto lastricato di infinite sfumature di colore messe lì a rimarcare, con maggiore o minore forza persuasiva, la presenza di trappole culturali. Ma dal momento che i coraggiosi della redazione hanno chiamato alla sfida gli intelletti e non già i soliti “intellettuali”, è doveroso rispondere all’appello con l’ausilio di qualche considerazione di ordine generale. Oggigiorno non sono pochi coloro che negano alla politica quella dimensione assiologica grazie alla quale essa interpreta la realtà.

Costoro abusano del luogo comune dell’autoreferenzialità associandolo all’idea stessa di politica. E sono i medesimi che, con Sartre, pensano che Destra e Sinistra siano due scatole vuote, residuati bellici di un passato da obliare. Non è così. Altro che contenitori vuoti, altro che perdita di memoria. La politica è innanzitutto definizione di uno spazio fisico agito in chiave ideale da migliaia, milioni di individui conquistati e divisi da appartenenze ideologiche, vissute alla stregua di fattori identitari. Il fatto è che le nuove generazioni, almeno nelle componenti maggioritarie cresciute nel tempo storico della cosiddetta “seconda repubblica”, non attribuiscono alcun peso di rilievo alla scelta politica. Ora, l’iniziativa de “L’Opinione” offre una preziosa occasione di infrangere uno dei più frequentati tabù dei nostri tempi: la morte delle ideologie. È possibile riconsiderare seriamente quel valore supremo, prerogativa della personalità, che risiede nel diritto inalienabile a possedere un’idea e a battersi per essa. Intere generazioni si sono fronteggiate a viso aperto,fino al limite dell’odio reciproco, ma la loro lotta ha nutrito la nostra civiltà.

E per quanto possa suonare paradossale, si avverte rispetto tra gli antichi avversari che un tempo si sono combattuti senza esclusione di colpi. Oggi, invece, dell’attitudine ideale all’appartenenza, da cui trae origine l’azione politica militante, si è persa traccia. A ragione, dunque, bisogna impegnarsi per riorganizzare ” il campo d’Agramante”, tenendo conto che disseminati sul terreno, e in ordine sparso, insieme ai valori liberali, nazionali, riformatori e solidali, citati dal documento de “L’Opinione”, vi sono anche quelli legati alla tradizione, al conservatorismo rivoluzionario, alla contestazione della modernità declinata in chiave illuministico- borghese, al primato della gerarchia sull’egualitarismo radicale, e altri ancora. Tutti questi valori- guida non possono essere dimenticati. Hanno anche loro in tasca il passaporto della Destra. Anzi, alcuni di essi sono elementi fondativi dell’identità stessa della Destra. Altri, invece, sono stati trascinati nella parte avversa del campo per effetto dei reiterati collassamenti della Sinistra dovuti all’affermazione, su ogni altra espressione di pensiero riconducibile alla matrice illuminista/progressista, del primato ideologico del materialismo dialettico, concepito da Marx ed Engels a sfondo di una teoria compiuta della lotta di classe.

Tale primato è stato esercitato con pugno di ferro attraverso differenti canoni interpretativi incarnati in altrettanti “marxismi”, tutti attivi e”inimicissimi “tra loro. Dalla Seconda alla Terza Internazionale, da Kautsky a Lenin, passando per Rosa Luxemburg fino a Trotsky e alla sua IV Internazionale. Dalla scuola di Francoforte a quella di Budapest. Dai sanguinari dittatori del calibro di Stalin e Mao Tse Tung, e loro emuli, all’anomalia Gramsci. L’effetto più vistoso dell’occupazione marxista della propria parte di campo ha riguardato l’espulsione di ideologie autoctone, migrate per necessità di sopravvivenza “nell’altrove”, a cominciare, già nell’ Ottocento, dal liberalismo. Nella prima parte del Novecento è stata la volta del frutto maturo caduto dall’albero del sindacalismo anarco- rivoluzionario di Georges Sorel: il fascismo. Il secolo si è chiuso con la diaspora verso la nuova patria del centro-destra del socialismo riformatore e garantista, diaspora seguita, in Italia, alla caduta traumatica della cosiddetta Prima Repubblica. Il cielo della destra pullula di figure che hanno diritto di reclamare pari dignità nella memoria collettiva di un popolo che cerca fra di loro la stella polare verso cui orientare la propria navigazione. Così nel pantheon dei nomi illustri, insieme ad Adam Smith, Croce e Gentile, brillano altre stelle che non hanno affatto esaurito la loro carica di luce e ancora oggi fungono da faro agli occhi di molti uomini in cerca di un’ideale: Joseph De Maistre, Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Carl Schmitt, Oswald Spengler, René Guénon, Julius Evola, Guido De Giorgio, Arturo Reghini, Mircea Eliade, Nicolas Goméz Dàvila, Ezra Pound, Drieu La Rochelle, Louis-Fernand Céline, Yukio Mishima, Emil Cioran, Elémire Zolla , solo per citarne alcuni. Menti e voci pressoché sconosciute all’opinione pubblica.

Il primo passo che attende i nuovi federatori è nel ricercare, magari con estrema ostinazione, la sintesi tra le molte, troppe correnti che irrorano il campo della destra, senza chiedere ad alcuno rinunce o, peggio, abiure. Soprattutto, occorre puntare ad affrancarsi da quella perversa “sindrome di Stoccolma” che ha colpito per anni una parte consistente della dirigenza politica della destra istituzionale, evidenziandone il tratto caricaturale allorquando, per rendersi accettabile, essa ha consegnato alla controparte di Sinistra, più propriamente alla sua parte peggiore, la sua “intelligencjia”, il ruolo censorio, sintomo di autoproclamata superiorità morale. Cosicché per un lungo periodo, i figli di un dio minore, gli uomini di destra,con l’eccezione di alcuni intellettuali “tollerati”, hanno dovuto attendere in ossequioso silenzio che i grandi Maìtre à penser della Sinistra dessero un segnale di via libera per sdoganare, di volta in volta, questo o quel filosofo, questo o quel letterato. Piacerebbe a molti che, dopo la lunga stagione del silenzio, l’iniziativa di Diaconale e dei suoi ci portasse definitivamente fuori dagli anni della cattività.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:21