La Cgil e la sua solita litania keynesiana

Winston Churchill disse che «una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico». Ebbene, ciò corrisponde esattamente al pensiero dominante dell'ampio e trasversale fronte keynesiano, Cgil in testa. Proprio la più sinistra organizzazione sindacale, spinta su posizioni sovietiche sotto la dirigenza di Susanna Camusso, in questi giorni ripropone in modo obliquo la parabola dell'uomo dentro il secchio. Sostenendo che l'esercito dei dipendenti pubblici avrebbe lasciato per strada dal 2010 circa 3.000 lordi a testa a causa del blocco degli aumenti contrattuali, la Cgil ripete la classica litania keynesiana, teorizzando che i circa 10 miliardi in meno complessivamente persi hanno prodotto minori consumi e, conseguentemente, minore sviluppo.

Reiterando pari pari l'errore della famosa finestra rotta di Bastiat, il sindacato rosso non vede e induce a non vedere il costo occulto di ogni forma di sostegno alla domanda. In questo caso i 10 miliardi di ulteriori tasse che lo Stato avrebbe dovuto richiedere alla collettività per beneficiare i suddetti dipendenti pubblici. Tutto questo se da una parte avrebbe si creato le condizioni per un certo aumento dei consumi, ma dall'altra parte la società spontanea si sarebbe trovata a fronteggiare un altro salasso di risorse finanziarie, contraendo quindi investimenti e consumi derivanti dall'effetto moltiplicatore che solo il settore privato può determinare. Ebbene, in questo ennesima partita di giro keynesiana, come dimostrano 50 anni di italici fallimenti, il saldo sarebbe sempre negativo per l'economia, proprio come sosteneva il vecchio "Willy".

D'altro canto se fosse conveniente stimolare la stessa economia dal lato della domanda, tanto varrebbe -nel caso delle molte opere infrastrutturali totalmente inutili realizzate in questo disgraziato Paese- pagare gli operai e gli impiegati senza farli uscire di casa, così da risparmiarci il costo delle spese del materiale e dei trasporti. In realtà l'alta spesa pubblica dello Stato, che ha toccato il 55% del Pil, dimostra l'esatto contrario delle ricette keynesiane sbandierate dalla Cgil, paralizzando letteralmente il sistema economico. Non bisogna essere dei geni per comprendere che se si incentiva un modello di economia sussidiata, restringendo di conseguenza la platea dei produttori privati, lo squilibrio crescente che viene a determinarsi non può che portare al collasso del sistema medesimo. Ovviamente chi, al pari della Cgil e dell'ampio fronte politico statalista, basa il proprio consenso sulla cosiddetta redistribuzione dei redditi, difficilmente metterà in discussione una dottrina e una impostazione tanto funzionale ai propri interessi di bottega.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:13