Il tracollo grillino e l'ottusità di Debora

Ciò che è accaduto in Friuli-Venezia Giulia deve far riflettere: la vittoria della sinistra Serracchiani e il tracollo del M5S, meno di due mesi orsono primo partito alle politiche, non possono essere addebitate alla sorte cinica e bara. Pur non avendo la controprova, mi sembra evidente che la rielezione di Napolitano, avvenuta alla vigilia del voto nella suddetta regione autonoma, abbia influito non poco sull'esito di questa tornata elettorale. Con tutta probabilità la disperata assunzione di responsabilità assunta dai partiti tradizionali nell'attaccarsi alla sicura scialuppa di salvataggio del presidente uscente ha fatto riguadagnare consensi ai due principali schieramenti della seconda Repubblica, causando nel contempo la sconfitta dei grillini. Quest'ultimi, in particolare, sono stati penalizzati sostanzialmente da due fattori abbastanza evidenti. Da una parte l'immagine di inconcludenza offerta al Paese dacchè il M5S è entrato in Parlamento, e dall'altra parte un certo avventurismo dimostrato con le cosiddette quirinarie, culminate nella scelta del candidato Rodotà. Scelta, occorre precisare, scaturita da una serie di impresentabili candidature - quasi tutte rigorosamente appartenenti all'area della sinistra più retriva- che hanno offuscato decisamente quel tratto trasversale fino ad ora coltivato gelosamente da Grillo e Casaleggio. Di fatto la vicenda dell'elezione del Capo dello Stato ha spinto i grillini verso l'abbraccio mortale di Sel e della cultura politica della sinistra massimalista. Questo non poteva restare senza conseguenze in una regione civile e produttiva come quella friulana. ìEppure la stessa Debora Serracchiani, all'indomani della sua inaspettata affermazione - seppur ottenuta di un soffio nei confronti del candidato del centro-destro -, ha sdegnosamente dichiarato in tv di non riuscire a capire perchè il suo partito, il Pd, non abbia deciso di appoggiare Stefano Rodotà. Ovvero un candidato al Colle che, al pari di Romano Prodi, una volta eletto avrebbe determinato un repentino ritorno alle urne, con buona pace proprio di quel senso di responsabilità nazionale il quale, ancora non si sa quanto ben riposto, ha comunque premiato le forze politiche che hanno rieletto il presidente delle larghe intese. Sotto questo profilo la dichiarazione della Serracchiani, pur essendo stata espressa sull'onda euforica di una vittoria elettorale, rappresenta un sinistro segnale di ottusità politica, soprattutto all'interno di una operazione di salvataggio del sistema dei partiti che impone scelte improrogabili e lungimiranti. Ma evidentemente la neo presidente della regione Friuli-Venezia Giulia pensa ancora di potersi baloccare coi rigurgiti di un radicalismo ideologico che ha già fatto troppi danni al Paese. Non è questa la strada giusta per uscire dai guai.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:48