Leadership forti per scelte impopolari

In questo tormentato frangente politico, in cui vi sarebbe la necessità di adottare dolorose e impopolari decisioni, domina invece una irresponsabile retorica. Soprattutto a sinistra e nell'area grillina, si cerca di cavalcare in tutti i modi la demagogia del partito degli onesti, proiettando anche in tale fase una antica illusione popolare. Tuttavia, la logica dei numeri e del buon senso dicono ben altro, ponendo l'accento su alcuni fattori di natura sistemica. In primis l'enorme distorsione economica e finanziaria provocata da un crescente eccesso di spesa pubblica e di tassazione che sta mandando letteralmente in bancarotta il Paese. Una distorsione, sintetizzabile plasticamente con un 55% del Pil intermediato dalla politica e dalla burocrazia, che in estrema sintesi rappresenta il portato di una democrazia del consenso sempre più basata sul cosiddetto deficit-spending.

Tutto ciò ha fatto stratificare un sistema italiano in cui la quota di popolazione che vive a qualunque titolo di spesa pubblica è aumentata enormemente nel corso dei decenni. Basti pensare che, nonostante la "demoniaca" riforma previdenziale del governo Monti - a mio avviso la cosa più seria realizzata dai tecnici- , la nostra spesa pensionistica, complice anche il crollo del reddito nazionale, si sta attestando su un colossale 16,2% del Pil, ben oltre 5 punti in meno rispetto a Francia e Germania. E per quanto la Cgil della Camusso e di Landini continui a raccontarci che troppa gente anziana prende vitalizi da fame, è indubbio che complessivamente la macchina mangia soldi dell'Inps andrebbe drasticamente riformata, a prescindere dalla trilussiana teoria del mezzo pollo a testa. Così come gli altri grandi settori di spesa di questo Stato dissipatore, come la sanità e il pubblico impiego, dovranno necessariamente essere ridimensionati sul piano dello spazio e delle competenze, se si vuole allentare il cappio fiscale che sta letteralmente strangolando l'economia reale.

D'altro canto, la coperta finanziaria della mano pubblica è sempre più corta e il ricorso all'indebitamento non può coprire all'infinito la falle di un meccanismo che non si aggiusta con qualche pannicello caldo. I segnali in questo senso non mancano. L'allarme rosso scattato anche per la sostenibilità nel breve e nel medio periodo della cassa integrazione costituisce l'ennesima conferma che l'ora delle scelte irrevocavile sembra giunta, parafrasando una celebre frase di un famoso pelatone del secolo scorso. Mi sembra sempre più evidente che, seppur con le necesseria gradualità democratica, l'unico modo per allentare la tensione finanziaria che si scarica sull'economia privata, soffocando consumi ed investimenti, passa obbligatoriamente per una decrescita felice della quota di risorse controllate dalla politica, creando i presupposti per una decisa riduzione del carico fiscale complessivo. Ma per portare avanti un simile programma, fondato su una austerità vera dal lato dei risparmi a regime, ci vogliono autentici statisti, consapevoli di rischiare un alto prezzo politico pur di condurre l'Italia fuori dalla palude in cui sta rapidamente sprofondando. Statisti che non si comportino come l'attuale segretario del Pd, il quale sembra preferire una prossima sconfitta certa alle sempre più inevitabili elezioni supplementari, tenendosi però un partito rinserrato nella vecchia ridotta comunista, piuttosto che passare la mano a chi magari vorrebbe percorrere strade diverse.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:52