La triste parabola di Fini

Alla fine lo hanno cacciato. Ma lo hanno fatto gli elettori. Gianfranco Fini, colui che ormai possiamo chiamare il cognato di Tulliani, è fuori dal Parlamento avendo ottenuto meno di 150.000 voti. Un'uscita di scena dalla politica, quella del fondatore di Fli, a dir poco beffarda se si pensa che, per aggirare, anzi cavalcare l'ostacolo della progressiva debacle del suo partito, Gianfranco Fini ha contemporaneamente provveduto ad allearsi con Monti e Casini, rendendosi il principale artefice del fuoco di sbarramento da parte del “trio montiano” nei confronti dell'iniziale possibile allargamento a “Fare” di Oscar Giannino.

E lo ha realizzato animato da un calcolo politico che, però, non ha tenuto conto della variabilità dei calcoli che sempre regna in politica. L'ex co-fondatore del Pdl, per assicurarsi lo scranno parlamentare, era convinto che nello schieramento creato insieme con la lista civica di Monti e con l'Udc di Casini, Fli si sarebbe collocato come miglior partito dei perdenti. Il calcolo finiano poggiava sulla certezza che l'Udc avrebbe tranquillamente superato quella soglia del 2% richiesto ai partiti che compongono una coalizione. Invece Casini, a dispetto di tutte le previsioni, non è riuscito a superare la fatidica soglia. Si è fermato all'1,8 per cento, scivolando così nella casella del miglior perdente e scompaginando il piano del presidente di Fli, declassato da migliore perdente a perdente, punto e basta.

A maggior impietosa beffa dell'ex presidente della Camera che si è ritrovato inopinatamente fuori da Montecitorio insieme ai suoi più stretti collaboratori responsabili della perdita di qualsiasi identità di Fli, svetta l'eccezione di Benedetto Dellla Vedova, l'unico esponente di Futuro e Libertà che, presentandosi nella lista unica di Monti in Lombardia, abbia saputo padroneggiare calcoli e le geometrie variabili elettorali tanto da conquistarsi un seggio senatoriale. Termina in una clamorosa e triste scivolata, insomma, la parabola di Fini, cui non sono serviti i camuffamenti da difensore del parlamento e della legalità con cui ha ritenuto possibile celare agli elettori di centrodestra i propri ambiziosissimi appetiti personali. Ed a cui non ha portato alcun giovamento l'appoggio della maggiore stampa italiana che lo ha dipinto ripetutamente come il campione di della destra presentabile esaltandone la diversa “educazione sentimentale” rispetto a quella del tiranno Berlusconi. Sic transit gloria Fini!

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:12