La notizia, di una certa importanza e di indubbio significato (e dunque per questo, nessuna evidenza su notiziari e giornali?), è che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto di accogliere la denuncia di un detenuto italiano, Bruno Cirillo, recluso nel carcere di Foggia; Cirillo ha dichiarato di essere stato vittima della violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul divieto di trattamenti degradanti e disumani. La denuncia si riferisce a un’insufficienza di cure ricevute per la paralisi parziale di cui soffre il detenuto.
La Corte ritiene “ricevibile” la richiesta, e conferma che c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione; di conseguenza impone allo stato di versare all’imputato nei tre mesi successivi alla data in cui la sentenza sarà diventata definitiva la somma di 10mila euro per danni morali più tremila per le spese. La Corte ritiene che «le autorità abbiano mancato al loro obbligo di assicurare al richiedente il trattamento medico adatto alla sua patologia»; considera quindi che «la prova che egli ha subito a causa di ciò ha superato il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e ha costituito un trattamento inumano o degradante», così come inteso dall’articolo 3 della Convenzione.
Si potrà obiettare che queste condanne cominciano a essere frequenti; che anzi, se si esaminano le sentenze emesse dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, la maggior parte di condanne riguarda inadempienze gravi consumate dal nostro paese; e se queste sentenze e condanne non sono molte di più, ciò probabilmente lo si deve al fatto che tanti non sanno che esiste questa possibilità di rivalersi quando un nostro diritto viene calpestato. Ma è da credere che se accadesse qualcosa di simile a quello che si vede nei telefilm e film americani, quando all’atto dell’arresto si viene avvertiti che quello che si dirà potrà essere utilizzato e si ricorda il diritto di tacere, e cioè ogni detenuto venisse informato dei suoi diritti, si verrebbe letteralmente travolti da ricorsi, sentenze, condanne di risarcimento.
Ed è proprio qui, la notizia che non fa “notizia”. E che non faccia “notizia”, potrebbe/dovrebbe costituire ulteriore “notizia”; e naturalmente non la fa. Ha dunque ragione Guido Rossi, che sul Sole 24 Ore del 20 gennaio scorso annota: «In questa stagione elettorale, insieme ad un notevole degrado non solo lessicale, ma anche di contenuti programmatici da parte di vari contendenti, si prospettano all’attenzione dei cittadini ricette di ogni sorta per il “buon governo” economico post elezioni, mentre poche appaiono le ricette a difesa dei diritti». Ed è sempre Rossi, non Marco Pannella o un altro “estremista” radicale, a scolpire nel citato editoriale che il nostro paese soffre di una malattia che è decisamente peggiorata nel tempo: «la mancanza di certezza del diritto». E sconsolato rileva che “«on è solo in discussione la sovrabbondanza delle norme che riguardano i cittadini e le imprese, quanto piuttosto l’assoluto disordine nella loro applicazione...». E ancora: «La grave conseguenza è che la stessa certezza del diritto soggiace alla regola del più forte in un sistema che è sempre meno gerarchico e sempre più di relazione, con corrivi e inquietanti riflessi con il mondo dell’informazione...».
Rossi infine ricorda come «i conflitti nascono con eguale devastazione della democrazia fra poteri riconosciuti dello stato, non solo e non tanto tra i tre maggiori, che tendono ad invadere reciprocamente il campo altrui, ma in misura ancor peggiore tra organi indipendenti, deputati a vigilare e non a perseguire volontà di potere, a tutto danno di un sistema civile ed economico, travolto e impossibilitato a crescere dall’incertezza del diritto e dal conflittuale dominio di tutte le “società parziali”».
L’articolo è da ritagliare e conservare. Gli addetti agli uffici stampa e i “consiglieri” di Bersani e di Berlusconi, di Monti e di Ingroia, di Maroni e di Vendola possono però omettere di farlo. Altro, a quanto pare, sembra essere materia della campagna elettorale; e nessuno sembra anche solo sognare di chieder loro conto di quanto accade. Con buona pace di Rossi e nostra, che concordiamo con la sua analisi (si fa per dire: ci si augura che di questo tipo di pace né Rossi né noi, se ne abbia mai).
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:41