Le favolette dei keynesiani italiani

Questo inizio di campagna elettorale si sta svolgendo, come era prevedibile che accadesse, all'insegna delle favole da raccontare agli italiani. Un po' tutti fanno a gara nel promettere botte piena e moglie ubriaca, come si suol dire. Persino il sobrio Monti, il quale ha mostrato una certa debolezza espressiva nel corso delle sue prime uscite da competitore elettorale, ha cominciato a teorizzare idilliaci abbattimenti della pressione fiscale. Ma è a sinistra che spiccano i cantastorie più suggestivi. In particolare ha destato una certa impressione la risolutezza di Stefano Fassina, braccio economico di Bersani, durante la puntata di lunedì scorso di "Porta a porta". Sul tema cardine del Pd, sviluppo e lavoro, il nostro ha gettato letteralmente la palla oltre le tribune, chiamando in causa nientepopodimeno che l'Unione europea.

La sua tesi, che definire delirante è dir poco, si basa sul presupposto degli eurobond (idea presa a prestito da un altro delirante economico come Tremonti) per investire quattrini freschi nella realizzazione di opere pubbliche utili, onde rilanciare la condizione drammatica dell'occupazione. Più in generale Fassina pensa che completando il processo di integrazione europea, cedendo completamente la sovranità fiscale degli Stati membri a Bruxelles, vi sarebbero i presupposti per aumentare l'indebitamento locale ai fini del rilancio economico. In sostanza la solità, maldigerita ricetta keynesiana quale panacea di tutti i mali: spendiamo oltre ogni misura per sostenere l'economia. Ora, in primis occorre precisare che John Maynard Keynes nella sua "Teoria generale" espresse più volte il concetto del pareggio ciclico di bilancio. Ossia l'idea che uno Stato ripianasse durante le cosiddette vacche grasse i debiti contratti per stimolare l'economia stagnante o recessiva. Inoltre queste idee furono elaborate in anni in cui le economie occidentali non avevano portato a maturazione tutti i loro fattori di produzione.

Ciò consentiva ampi margini all'economia reale di riassorbire attraverso la crescita eventuali aumenti di massa monetaria. Ebbene, dato che in Italia di ciclico c'è solo la crescita incontrollata della spesa pubblica a cui segue la vana rincorsa di una fiscalità oramai impossibile da sostenere, è ovvio che l'unica via per rilanciare lo sviluppo passa attraverso una ricetta che a Fassina & company risulta particolarmente indigesta: un taglio draconiano della spesa corrente. Ma dato che il Pd a trazione vendoliana rappresenta il principale baluardo nella conservazione di un sistema pubblico che in rapporto alla popolazione gestisce più risorse della Germania e della Francia (solo che questi Paesi possiedono ferrovie a 4 binari e strade lisce come biliardi, mentre noi abbiamo il far west del binario unico e gruviere d'asfalto), mi sembra evidente che la sua formula economica non possa che basarsi su un aumento dei debiti, dell'inflazione e delle tasse. Tutte strade ben lastricate di pessime intenzioni le quali non possone che condurci nell'inferno della povertà e del sottosviluppo.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:07